Addio di Borghi al Pd: dalle liste elettorali alle delusioni per il Copasir, la faglia si era aperta già prima di Schlein
C’è una perdita nella comunità del Partito democratico. Piccola, ma non è stata ancora riparata: dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie, alcuni volti noti del Nazareno hanno deciso di strappare la tessera. Giuseppe Fioroni, ex ministro, Andrea Marcucci, ex capogruppo al Senato, Carmelo Miceli, ex deputato, e per ultimo, il senatore Enrico Borghi. Mentre si attende l’ufficialità del passaggio dell’europarlamentare Caterina Chinnici in Forza Italia, emergono nuovi dettagli sull’addio del membro del Copasir. Che nel Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ci vuole restare, indossando tuttavia le vesti di Italia Viva. Proprio le vicende che ruotano attorno a Palazzo San Macuto sono parte sostanziale della fuoriuscita di Borghi, il quale ambiva a presiedere il Copasir. La scelta, lo scorso dicembre, ricadde su Lorenzo Guerini. A Borghi, che per la segreteria di Enrico Letta aveva svolto il ruolo di responsabile delle politiche per la Sicurezza, è spettata la nomina semplice a membro del Comitato. Ora, lui accusa «Schlein di aver ridotto il Pd a un partito massimalista di sinistra» e giustifica così il suo passaggio nella corte renziana. A Open, tuttavia, diversi Dem raccontano che la frattura tra Borghi e il partito risale allo scorso anno. Anzi, «Schlein è diventata un pretesto per lasciare».
Bisogna tornare alla scorsa estate, quando le varie forze politiche dovettero compilare le liste per le elezioni politiche del 25 settembre. In quell’occasione, sarebbero emersi non pochi attriti tra Borghi e il duo composto dall’allora segretario Letta e il fedelissimo Marco Meloni. I quali non avrebbero accolto alcun “suggerimento” di Borghi: «È da quel momento che si è cominciato a percepire Borghi come un corpo estraneo». La spaccatura con la segreteria diventa una faglia quando viene lasciato fuori dalla partita per la presidenza del Copasir: «Non solo non aveva con sé il Pd in quella sfida, ma anche i membri del centrodestra gli preferivano Guerini. Non aveva i voti, non si poteva fare altrimenti». Adesso, spiegano a Open, il problema di non avere nemmeno un membro nel Copasir – fuorché il presidente Guerini – è tutto in capo al capogruppo Dem al Senato. Per Guerini, invece, nelle sue funzioni di presidente, non ci sarebbero criticità nel passaggio di Borghi a Italia Viva: l’importante è che i rapporti tra maggioranza e opposizione nel Comitato restino inalterati. E i renziani sono effettivamente all’opposizione.
«Adesso Guerini rimane l’unico nel Pd ad avere una sorta di autorevolezza nel campo della Difesa e della Sicurezza». Nella scorsa legislatura, per parlare con la stampa di questi temi c’era Alberto Pagani. L’esperto di sicurezza e servizi di intelligence, però, non ha partecipato alla tornata elettorale dello scorso settembre. Borghi, altro referente mediatico in questa materia, non c’è più, «e il problema è che Guerini, proprio per il ruolo di presidente del Copasir, non potrà commentare il day by day con le testate». Chi pensa che la notizia dell’addio di Borghi abbia solleticato le fantasie degli ex renziani rimasti nel Pd, quasi come se fossero più stimolati a voltare le spalle a Schlein e al partito, sbaglia. Fonti autorevoli nella corrente di Base riformista raccontano, invece, di uno sconcerto per la notizia di Borghi: «Non l’aveva detto a nessuno, nemmeno alle persone con cui vive a Roma». «Non si abbandona così un gruppo, una comunità. Bisogna resistere per difendere l’area riformista del partito, gli elettori delusi dalla rottura tra Renzi e Calenda devono fare affidamento su di noi».
Sono discussioni avvenute tra esponenti politici, ascoltate da Open. Dai loro discorsi emerge che Borghi, in realtà, non è mai stato un membro integrante della corrente di Base riformista, «ma ha lasciato che i giornali lo inquadrassero in quest’area quando gli faceva comodo». Intanto, c’è chi specula sulle ragioni economiche del passaggio. Un assistente parlamentare ipotizza che Borghi potrebbe aver ricevuto la promessa, da Renzi, di non versare alcun contributo a Italia Viva. «Mentre ogni parlamentare Pd deve versare oltre 2 mila euro al mese al Nazareno. Una parte va al nazionale e un’altra alla sezione del territorio dove è stato eletto». Seguendo il discorso, «visto che è già al terzo mandato da parlamentare e da regolamento del Pd, salvo deroghe, non poteva più essere candidato, si è fatto un calcolo: alla fine, nei quattro anni di legislatura che restano, se Italia Viva non gli chiederà un euro, metterà in tasca decine di migliaia di euro in più rispetto al resto di carriera che avrebbe avuto nel Pd». Un ragionamento, è il caso di dire, spicciolo.
Piuttosto, la costante che si riscontra tra le fuoriuscite delle ultime settimane è questa: si tratta di politici che difficilmente avrebbero avuto spazio nelle scelte della nuova segretaria. Ma, afferma con cinismo un dirigente Dem, «se è vero, perché è vero, che non avrebbero avuto spazio se fossero rimasti, e altrettanto vero che chissà quanto spazio avranno dai renziani. Non stanno passando mica in Fratelli d’Italia che, almeno per qualche anno, potrà garantire un po’ di “posti”». Sarà un problema se la perdita riformista nelle tubature del Nazareno non sarà riparata presto? Con altrettanto cinismo, replica la fonte: «Quello che dice Schlein, ovvero di voler guidare un partito plurale esaltando tutte le diverse sensibilità all’interno, è impossibile. Piacere a tutti è impossibile. A questo punto, nell’esercizio del suo mandato, deve fare ciò che crede e andare fino in fondo con la sua linea. Tanto, a prescindere da come andrà, sarà “fatta fuori”. Tutti i segretari del Pd hanno una vita breve. Che almeno faccia ciò in cui crede per i pochi anni che le restano al Nazareno».
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