Gli studenti contro la scuola del voto. Da Milano a Venezia cresce la rivolta: «Siamo schiacciati dalla competizione» – Le interviste
Le battaglie studentesche si concentrano sempre più sul benessere (o malessere) psicologico tra le mure scolastiche. Nei giorni scorsi gli studenti e le studentesse del liceo Alessandro Manzoni di Milano hanno occupato l’istituto per chiedere un’attenzione maggiore alla loro salute mentale e per ripensare il sistema delle valutazioni. Prima dell’occupazione hanno fatto girare un questionario, che ha compilato oltre metà della componente scolastica, da cui «è emersa una situazione preoccupante». L’idea è stata del Collettivo Antagonista dell’istituto che – attraverso un comunicato – ha denunciato come «lo studio più che fonte di arricchimento e passione, è sinonimo di ansia, frustrazione e sofferenza a causa del peso della competizione e del giudizio attraverso il voto». Terminata l’occupazione sono riusciti a conquistare un sistema di valutazione diverso: i docenti ora sono obbligati ad accompagnare i voti numerici con motivazioni scritte. Il liceo Manzoni non è l’unico ad aver sollevato il problema del malessere psicologico degli studenti. Nel milanese anche il liceo Giovanni Berchet a inizio mese ha lanciato prima un sondaggio e poi una petizione per denunciare «il clima di ansia sistemico, presente in diverse classi, e la pressione psicologica controproducente per l’apprendimento e il percorso educativo».
Crisi d’ansia? Alcuni licei tolgono i voti
C’è chi è andato oltre e i voti ha deciso proprio di toglierli. Il caso più recente è il liceo Giordano Bruno di Mestre, in provincia di Venezia, dove una classe ha avviato in via sperimentale l’eliminazione dei voti numerici. Gli studenti per diversi mesi sono stati valutati per «risultati raggiunti», che a fine quadrimestre sono diventati un voto unico in pagella. I ragazzi e le ragazze dell’istituto si dicono entusiasti dell’idea, ma riconoscono che si tratta solo di un (buon) inizio. «Secondo me funziona come nuovo metodo», premette a Open Petra Šokota, studentessa dell’istituto. «Non basta, però, per contrastare l’ansia che – a mio avviso – negli anni è aumentata. In particolar modo a seguito del Covid», precisa. «Nel mio liceo sono diversi i tentativi di aiutarci. Ad esempio, ci hanno fatto un corso per imparare a gestire l’ansia. Ma – aggiunge la studentessa – questo è sintomo che l’ansia è ormai normalizzata. Invece, bisognerebbe fare qualcosa in grado di impedire alla base questa condizione degli studenti».
Un trend che attraversa la penisola
L’esperimento della scuola senza voti è in corso anche in una scuola superiore di Roma, il liceo Morgagni, che ha avviato il sistema ben 8 anni fa. Come in tutte le scuole, qui le interrogazioni e le verifiche ci sono, ma non vi è alcuna valutazione numerica. I professori danno indicazioni agli alunni sulle competenze raggiunte, ma i voti appaiono solo alla fine del quadrimestre. Richieste simili in questi ultimi due anni hanno attraversato (e continuano a farlo) tutta l’Italia. Con i liceali delle scuole di Bologna – Minghetti, Copernico e Sabin – che diversi mesi fa hanno occupato contro il profondo disagio degli studenti; quelli di Cagliari «contro la valutazione e la didattica punitiva», o di Napoli con il Vittorio Emanuele che ha denunciato «un sistema classista e distruttivo dal punto di vista psicofisico».
«È ora di superare la caccia all’errore»
«Il sistema di valutazione attuale è obsoleto e inefficace. Lo si dice da molto tempo in ambito pedagogico, sottolineando come la valutazione puramente sommativa e numerica dovrebbe lasciare il passo a una valutazione di tipo formativo, nella quale l’eventuale numero è solo il risultato finale (e perciò sdrammatizzato) di un percorso da realizzare insieme allo studente». È questo l’iter di valutazione scolastica che la scuola dovrebbe adottare, secondo quanto riferisce a Open Raffaele Mantegazza, educatore e docente di Pedagogia generale e sociale all’Università Bicocca di Milano. «Un percorso che deve partire sempre dalle risorse positive che lo studente mette in atto, superando la caccia all’errore cui spesso si riduce la verifica dei risultati e la valutazione». Per questi motivi si trova d’accordo con l’idea approdata ai licei Bruno e Manzoni. «Credo che oltre al commento sulla singola prova ai ragazzi serva – puntualizza il docente – anche una narrazione ampia, una sorta di “biografia” scolastica (che già dal nome è qualcosa di differente di ciò che prende l’odioso nome di “curriculum”), nella quale si provi a descrivere il percorso di ogni studente, comprendendo in esso anche la necessità fisiologica di momenti di pausa e di apparente regressione».
L’approccio (nuovo) dei giovani alle battaglie
Il pedagogista Mantegazza rileva come le nuove generazioni stiano prendendo sempre più coscienza di come l’attuale sistema scolastico «non stia più in piedi». Ma a colpire il docente sono soprattutto le modalità con cui i ragazzi e le ragazze pretendono nuovi cambiamenti. «Quello che mi sorprende del movimento degli studenti è il fatto che le richieste dei più giovani si basano su inchieste, questionari e sondaggi. E non su una contrapposizione generazionale (che peraltro sarebbe fisiologica)», spiega. «Evidentemente – aggiunge l’esperto – dopo il Covid e la DAD (Didattica a distanza, ndr) questi giovani ci stanno dicendo tutto il loro amore per la scuola e il loro desiderio che essa sia all’altezza delle loro emozioni e dei loro investimenti».
I danni del sistema attuale e l’appello degli studenti alla scuola
A suo avviso, il problema dell’ansia e dello stress denunciato dagli studenti di tutta Italia «è effettivamente una realtà. E non riguarda solo il mondo della scuola, ma più in generale quello dei ragazzi, continuamente sottoposti a una pressione spaventosa di un mondo adulto che li vuole sempre vincenti e performanti». Il risultato di tutto questo? Nessuno si salva. Neanche i “migliori”. Come evidenzia il docente, «in questo modo coloro che pensano di non raggiungere un determinato livello di prestazioni, invece di essere liberi di esprimere il proprio talento indipendentemente dalle classifiche, sono frustrati e coloro che invece si collocano ai livelli più alti non reggono più la pressione che li vuole sempre vincenti». Concordano gli studenti, che invitano professori, presidi ed educatori a «dimenticare l’approccio punitivo che vuole vederci o come eccellenze, piccoli trofei da esibire, o come quelli che sono stati schiacciati dal peso della scuola e non ce l’hanno fatta».
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