L’appello di Papa Francesco dall’Ungheria di Orbán: «Aprite le porte ai migranti: è questo essere cattolici»
Dall’Ungheria di Viktor Orban si alza un appello di Papa Francesco alla messa di chiusura del suo viaggio, in tema di migranti: «Fa male vedere tante porte chiuse verso chi non è in regola, verso chi è straniero, diverso, migrante, povero», ha detto il Pontefice nel Paese governato da una maggioranza populista e illiberale. Alla messa è presente anche la presidente della Repubblica, Katalin Novak, e il primo ministro. Nella sua omelia è partito dal concetto della «Chiesa in uscita», sottolineandone il significato: «Essere in uscita vuol dire per ciascuno di noi diventare, come Gesù, una porta aperta. È triste e fa male vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi diverso, migrante, povero».
«Cattolicità è inclusione»
Parole che non sono passate inosservate dato il Paese da cui il Santo Padre si è espresso. Orban infatti è stato a lungo criticato per la costruzione di una barriera in filo metallico al confine con la Serbia, alta 3 metri e lunga oltre 500 chilometri, per fermare i migranti illegali che arrivano dalla Turchia, provenienti dall’Africa, dall’Afghanistan, dalla Siria, dal Pakistan, dal Bangladesh. «Questa è la cattolicità: tutti noi cristiani, chiamati per nome dal buon Pastore, siamo chiamati ad accogliere e diffondere il suo amore, a rendere il suo ovile inclusivo e mai escludente. E, perciò, siamo tutti chiamati a coltivare relazioni di fraternità e di collaborazione, senza dividerci tra noi, senza considerare la nostra comunità come un ambiente riservato».