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Decreto Lavoro, le nuove regole sui contratti a termine

Il nuovo Decreto Lavoro, approvato oggi 1 maggio dal Consiglio dei Ministri, è intervenuto ancora una volta sulla disciplina del contratto di lavoro a termine, concedendo alle parti (in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2024) la possibilità di individuare autonomamente le causali in assenza di accordo collettivo.

Il nuovo Decreto Lavoro incide sulla disciplina del lavoro a termine, tema ormai da tempo bersaglio di interventi legislativi. In particolare, il Decreto Lavoro interviene sulle ipotesi che consentono al datore di lavoro di rinnovare o prorogare oltre i 12 mesi un contratto di lavoro a tempo determinato, andando a modificare le cd. “causali” introdotte dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 96/2018).

Cosa prevedeva il Decreto Dignità

Nel 2018 il Decreto Dignità aveva previsto per i contratti a termine una durata di 12 mesi, con possibilità di una durata superiore (ma comunque non eccedente i 24 mesi) soltanto attraverso l’apposizione di causali stringenti, quali esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori o connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Con il Decreto Dignità abbiamo dunque assistito ad un sistema di causali restrittivo, legato alla sussistenza di condizioni straordinarie, imprevedibili o comunque eccezionali rispetto all’organizzazione produttiva. Successivamente, la normativa emergenziale (dovuta alla pandemia da Covid 19) ha condotto a un progressivo allentamento delle rigidità delle causali del Decreto Dignità al fine di conciliare le esigenze occupazionali temporanee con le incertezze fisiologiche del mercato del lavoro di tale periodo.

Cosa cambia con il Dl Lavoro

Il nuovo Decreto Lavoro, mantenendo la possibilità di stipulare (o prorogare) contratti a tempo determinato senza necessità di giustificarne la ragione entro i primi 12 mesi, modifica la causali che consentono di apporre un termine superiore al contratto (ovviamente sempre nell’ambito del limite legale di durata massima di 24 mesi). Secondo la nuova disciplina, al datore di lavoro è concesso prorogare oltre i 12 mesi o rinnovare un contratto a tempo determinato, in entrambi i casi comunque non oltre i 24 mesi, soltanto in presenza di una delle tre seguenti condizioni:

  • nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (rsa) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (rsu);
  • in assenza di un accordo collettivo di cui al precedente punto a), e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze tecniche, organizzative e produttive individuate dalle parti;
  • per sostituzione di altri lavoratori.

Rispetto alle precedenti bozze circolate nei giorni scorsi, la versione finale del Decreto Lavoro non contiene più la necessità di certificazione preventiva del contratto presso una delle sedi delle commissioni di certificazione, di cui agli artt. 75 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003, in caso di mancato esercizio di delega da parte della contrattazione collettiva, concedendo maggior autonomia alle parti (datore di lavoro e lavoratore). Pertanto, in assenza di un intervento da parte della contrattazione collettiva, l’individuazione delle esigenze tecniche, organizzative e produttive è rimessa alla libertà delle parti, senza necessità di certificazione del contratto, anche se in via sperimentale: la nuova norma prevede infatti una durata limitata di tale ipotesi fino al 31 dicembre 2024.

Foto di copertina: Kate Townsend su Unsplash

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