Sarah Jaffe: «Smettiamo di raccontarci che lavoriamo perché amiamo farlo. Il reddito di cittadinanza dà più scelte? É una cosa buona» – L’intervista video
Il Reddito di cittadinanza è quasi completamente abolito o, in ogni caso, ha perso la funzione iniziale di supporto a chi non lavora per ragioni che non sono il grave impedimento fisico o familiare. Eppure, mentre i dati dell’occupazione italiana sono stazionari e tra i più bassi d’Europa, la tematica del salario universale non perde di attualità né in Italia né all’estero così come quello della Great resignation, il cosiddetto fenomeno delle dimissioni di massa (più accentuato in paesi con tassi di occupazione maggiore dei nostri). Cosa sta succedendo? «L’emersione dall’emergenza Covid ha posto le persone davanti ad una vita diversa, al fatto che ci fossero anche altri modi di vivere, che le cose possono cambiare anche velocemente e alla negazione di una favola che ci siamo raccontati per troppi anni, quella per cui lavoriamo perché amiamo farlo» dice la giornalista Sarah Jaffe. Un anno fa il suo libro “Il lavoro non ti ama”, edito in Italia da Minimum fax è diventato un caso editoriale in diversi paesi perché si occupa del lavoro a partire dalle dimissioni di massa che hanno seguito la pandemia. Un tema attuale anche in occasione della Festa dei lavoratori.
In Italia si discute molto di Reddito di cittadinanza. Anche dopo la sua forte riduzione è rimasta presente l’idea che le persone non lavorano perché l’esistenza di un reddito, ovvero di un salario universale, alimenta la loro pigrizia. Lei cosa ne pensa?
«L’argomentazione da cui parto nel mio libro è l’idea che lavoriamo perché amiamo farlo e che il lavoro è semplicemente qualcosa che le persone adorano fare. In realtà, quando le persone hanno abbastanza soldi non sono lì che dicono “ho proprio voglia di lavorare!”, o forse vogliono fare un lavoro ma vogliono che sia un lavoro decente. Quando hai un salario minimo aspetti che ti arrivi un lavoro che ti piace, magari sei disposto ad aspettare un po’ di più, magari lasci il lavoro orribile che fai e ne cerchi uno migliore. L’esistenza di un salario minimo dà alle persone la possibilità di scegliere, che è una buona cosa. Negli ultimi 40 -50 anni in paesi come l’Italia, la Gran Bretagna o gli Stati uniti, il potere dei lavoratori è precipitato e quello dei “capi” è salito. Gli introiti delle aziende sono saliti e la politica si è spostata in modo da favorirli. Permettere ai lavoratori di avere un salario minimo restituisce un po’ di potere ai lavoratori: sai che non farai la fame se ti licenzi perché hai un capo che ti tratta in modo terribile e questo è una buona cosa».
Lei dice che è una buona cosa ma molte aziende rispondono invece che è una sciagura perché sempre in meno sono disposti a fare lavori faticosi
«Dico che è un buon problema da avere perché se le persone non vogliono lavorare perché hanno un salario possiamo cancellare la bugia che lavoriamo perché non sapremmo altrimenti come usare il nostro tempo e possiamo iniziare a pensare “ok dobbiamo cominciare a lavorare sul rendere il lavoro meno schifoso cosi le persone potranno desiderare di farlo di nuovo e torneranno a lavorare”. Mettiamo che io ho un ristorante e sono preoccupata che non avrò persone che lavorano per la stagione turistica. Potrei pensare: “ok, come posso rendere questo lavoro più attraente? Devo essere un capo più gentile? Devo offrire alle persone orari migliori? O più salario? Devo offrire migliori benefit?”, Negli Stati uniti può essere, ad esempio: “Ok ora offro l’assicurazione sanitaria mentre prima assumevo lavoratori senza farlo”. E questo è positivo per tutti, magari non è molto divertente per chi ha un’azienda ma la vasta maggioranza di noi non ha un’azienda».
Il problema è solo alzare il salario?
«Io credo che a volte basti in effetti alzare il salario, ad esempio in alcune zone, soprattutto dove l’economia non si è ripresa dalla crisi del 2008. Ma il tema è più ampio: in alcuni casi le persone vogliono lavorare meno, o forse vogliono avere vacanze pagate, o vogliono che la gestione del lavoro sia più democratica. La gente ha un sacco di idee e non è solo una cosa di soldi anche se un aumento di salario è un ottimo punto di partenza».
Una obiezione su questo tema che è stata posta è che se salgono i salari poi salgono anche i prezzi e al ristorante, per stare al suo esempio, non ci va piu nessuno.
«Questo argomento viene usato da 40anni, nei ristoranti come nei supermercati. Mettiamo l’esempio di Wall-mart: Wall-mart dice “i nostri prezzi sono bassi cosi tutti possono permetterselo”. E’ vero anche il contrario: i prezzi bassi tengono anche i salari bassi, le persone non possono permettersi nient’altro. Partirei col dire che non c’è una correlazione uno a uno tra aumento dei salari e aumento dei prezzi, chi lo dice sostiene il falso. Se guardiamo ad esempio all’aumento dei profitti aziendali e lo paragoniamo all’andamento degli stipendi dei lavoratori… beh.. possiamo provare a ridurre la forbice? Io preferirei avere il problema di come facciamo a far lavorare le persone quando sono sopra la soglia della decenza, invece di avere l’opzione “ok teniamo le persone sotto la soglia di povertà così poi alla fine del turno possono permettersi di andare a prendere una birra”. Se è questo il tema possono venirci anche altre idee su come rendere il tempo libero accessibile alle persone. Se è così importante, il governo potrebbe sussidiare le birrerie invece delle compagnie petrolifere».
In Italia si dice che le famiglie sono troppo protettive verso i giovani che preferiscono non andare via di casa e vivere con un salario magari basso o con un sussidio invece di lavorare e farsi una famiglia…
«Partiamo dal fatto che il lavoro è diventato peggiore nello stesso momento in cui abbiamo iniziato ad avere tutte queste pressioni ad amarlo. Non è un problema solo italiano o solo americano. Generalmente il fatto che i figli rimangano a casa sempre più tempo è connesso ai salari da fame e alti tassi di disoccupazione. L’italia ha uno dei più alti tassi di disoccupazione in Europa credo. Invece di dire che questi ragazzi sono pigri dovremmo renderci conto che la fuori non ci sono grandi salari che permettano di comprarsi casa».
Nel suo libro mette in collegamento le dimissioni di massa e la pandemia. Vuol dire che ora che l’emergenza è finita le persone torneranno a lavorare?
«La pandemia ci ha insegnato che le cose possono cambiare velocemente e in caso di necessità la politica può scegliere di intervenire. La pandemia ha provato anche che l’idea che dobbiamo lavorare sempre allo stesso modo è falsa. Quali sono le conseguenze di tutto questo ancora non lo sappiamo. Ma non credo che ci sarà semplicemente il ritorno a come eravamo nel 2015 perché la situazione era problematica anche allora e tornando indietro ancora peggio. Ci sono lezioni che possiamo prendere dalla pandemia e cioè che possiamo cambiare il modo in cui lavoriamo e lo possiamo fare abbastanza celermente. E che il governo può agire per supportare le persone in modo che non chi perde il lavoro non diventi semplicemente un senza tetto».
In Italia la Costituzione dice che il paese è fondato sul lavoro e lo dice da una prospettiva di sinistra, nel suo discorso questa parte del rapporto tra cittadini e lavoro sembra cancellata.
«La prospettiva per cui fu inserita questa argomentazione era chiaramente marxista e Marx scriveva che il lavoro era la base per la rivoluzione non perché il lavoro è meraviglioso ma perché i lavoratori hanno potere. Abbiamo potere perché nulla funziona se smettiamo di lavorare, non perché il lavoro è fantastico e moralmente buono. Quando tutti lavoravano in fabbrica nessuno si aspettava che ti dovesse piacere. Nessuno si aspettava che tu andassi alla fiat perché davvero volevi fare automobili, il motivo per cui ci andavi è che pagavano bene. Non dico che non ci siano persone orgogliose di quello che fanno in fabbrica, anche chi lavora in negozi o ospedali può essere orgoglioso di quello che fa. In Inghilterra c’è stato recentemente uno sciopero dei treni e i lavoratori dei treni hanno detto che tengono al loro lavoro e proprio per questo vogliono che i servizi ferroviari si espandano ed abbiano costi accessibili. C’è molto orgoglio in quello che fanno ma quando il governo ti offre un aumento del 2% mentre l’inflazione è del 10%, l’orgoglio per il proprio lavoro non è abbastanza».