Negarono il rinvio del processo all’avvocata mamma. Ora i giudici di Milano dovranno rifarlo
Eravamo nel pieno del lockdown per la fase peggiore della pandemia da Covid-19: tre anni fa, un’avvocata veneta aveva chiesto il legittimo impedimento per non partecipare in presenza ad un processo a Milano. Era il modo più sicuro, specie in quella fase per proteggere dal contagio la figlia affetta dalla sindrome di Down e con fragilità alle vie respiratorie. Eppure, i giudici avevano respinto per ben due volte la richiesta, scegliendo di celebrare ugualmente il processo concluso con una condanna per la sua assistita, visto che l’avvocata aveva deciso di non andare all’udienza in ogni caso. Ora però, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 9 febbraio depositata l’11 Aprile, ha dato ragione alla donna veneta, obbligando il tribunale a rifare la sentenza e segnando questa decisione con parole dure che certamente diventeranno un precedente per casi analoghi: «La donna che lavora – scrivono infatti nelle motivazioni – non deve essere costretta a scegliere fra la professione o la tutela verso un figlio fragile, tutela prioritaria rispetto ad altri valori in gioco». Dunque l’avvocata incassa la vittoria, sebbene con tre anni di ritardo. Come ha raccontato all’edizione veneta del Corriere della Sera, all’epoca aveva inviato a Milano tutte le certificazioni necessarie e aveva richiamato i provvedimenti sanitari previsti per la pandemia chiedendo di partecipare da remoto. Come spiega ora, «essere lì in presenza tra treno mezzi pubblici e molta gente mi avrebbe messo gravemente a rischio contagio, un grave pericolo per la mia bimba fragile». Eppure non c’era stato nulla da fare, l’impedimento secondo le toghe milanesi non era «giuridicamente accettabile». Nonostante tutto la donna ha scelto di ricorrere in Appello e, dopo ben tre anni, è arrivata la decisione a suo favore. Nella sentenza si dice, tra l’altro che «i magistrati del tribunale di Milano respingendo il legittimo impedimento hanno costretto l’avvocato a scegliere tra tutela della salute di sua figlia e la professione, in palese e grave violazione dei principi e dei diritti costituzionalmente conosciuti all’articolo 24 e 32 della Costituzione». Ora, il processo andrà celebrato da capo.
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