«Licenziata per il colore di capelli», la denuncia di una commessa 24enne. L’azienda nega: «Non ha superato il periodo di prova»
Il suo nuovo look proprio non piace alla dirigente del negozio di abbigliamento in cui lavora, e così Francesca Sparacino, commessa di 24 anni, viene licenziata in tronco «perché il mio colore di capelli era diverso da quello concordato». A raccontare la storia è proprio la protagonista, giovane emiliana a cui pochi giorni fa è stata recapitata una lettera di licenziamento: dopo una discussione avuta su Whatsapp con la dirigente della Hammersmith s.r.l. sul suo abbigliamento e soprattutto sul suo colore di capelli, Sparacino è stata messa alla porta dal suo datore di lavoro. «Sono appena stata licenziata dopo che mi è stato comunicato dalla capoarea che il colore dei miei capelli non era quello concordato», spiega la 24enne, consigliera di Rifondazione Comunista nel Comune di Granarolo. «Sono laureata in pittura e stavo lavorando per mettere da parte dei soldi per conseguire la seconda laurea e diventare insegnante. Per questo ho svolto tanti lavori», continua la giovane, raccontando di essere stata contattata dalla responsabile dello store Suite Benedict e di aver cominciato a lavorare nel negozio di abbigliamento. «Anche all’epoca avevo i capelli colorati, decido di accettare la proposta economicamente vantaggiosa, e agli inizi di aprile inizio il mio periodo di prova di 25 giorni come commessa nel negozio di abbigliamento per adolescenti Suite Benedict».
Il giorno dell’assunzione ricorda di aver avuto i capelli tinti di fucsia. «Mi è stato chiesto di scurirli per essere assunta», spiega Sparacino. «Così ho fatto un colore ciclamino e dopo la nuova tinta sono stata assunta in prova. Il colore, con i lavaggi, si è di nuovo acceso e poi schiarito». Così la ragazza decide di andare di nuovo dal parrucchiere: «Avrei voluto un rosa tenue ma la tinta era troppo leggera così con la mia parrucchiera abbiamo concordato questo colore melanzana». Una scelta mal digerita dalla capoarea del negozio: «Mai avrei pensato di dover perdere il posto di lavoro per questa ragione. Prima di ricevere la lettera di licenziamento ho incontrato la capoarea che non mi ha detto niente né per il vestiario né per il colore dei capelli», racconta. Ma di lì a poco sarebbero arrivati dei messaggi Whatsapp che invitavano la commessa a cambiare look: «Non è come siamo rimaste. Ti chiedo di farlo con colore meno acceso, dobbiamo mantenere uno stile semplice. E i pantaloni: in negozio o jeans o pantaloni semplici comodi ma non tute». La ragazza a quel punto fa notare che anche altre colleghe avevano capelli colorati (blu) e che usavano indossare spesso tute: «Preferisco lavorare e impegnarmi a mandare avanti il negozio che badare maniacalmente al mio aspetto». Una risposta che non è piaciuta al suo datore di lavoro: poche ore dopo la lettera di licenziamento arrivato alla 24enne spiega di «un periodo di prova non superato». Senza la minima menzione a questione di look e cambio colore. Una posizione che l’azienda ha mantenuto anche dopo la denuncia della ex dipendente: «Nei confronti di Francesca Sparacino non c’è stata alcuna discriminazione, ma un giudizio complessivo non positivo sul suo lavoro», spiega la nota ufficiale diffusa.
L’avvocato: «Discriminazione e invadenza illecita nella sfera personale della dipendente»
La giovane si è allora rivolta al sindacato USB e all’avvocata Claudia Candeloro, esperta di diritto del lavoro: «Impugneremo già nella giornata di domani il licenziamento formalmente comminato per mancato superamento della prova», spiega a Fanpage, «ma, nei fatti, in assenza di qualsiasi altra motivazione e come risulta da messaggi scritti, esclusivamente basato sul mancato gradimento da parte della datrice di lavoro del nuovo colore di capelli della lavoratrice e per non essersi la stessa adeguata al colore dei capelli che la datrice aveva scelto per lei». L’avvocato della ragazza parla di discriminazione nella scelta dei lavoratori e di illecita interferenza nella sfera personale della dipendente. L’intenzione allora è quella di chiedere «la reintegra del rapporto di lavoro e il risarcimento dei danni ulteriori».