Uccisa dal padre a Foggia, la lettera di Paola Piras alla mamma: «Anche mio figlio morto per salvarmi, nessuno osi accusarti»
«Vicine per colpa di una cattiva sorte». Con queste parole Paola Piras – la 52enne aggredita dall’ex compagno dal quale tentò di difenderla il figlio Mirko di 19 anni, ucciso dallo stesso Masih Shahid – si rivolge a Tafta Malaj, 39 anni, anch’ella difesa dalla furia omicida del marito dalla figlia di 16 anni, rimasta uccisa nell’aggressione. «So bene che il dolore ciascuno lo attraversa a modo proprio ma devi credermi se ti dico che io penso di sapere cosa stai provando», scrive Piras in una missiva inviata al Corriere della Sera. «Lo so – continua – perché sono passata nel tuo stesso buio. L’11 maggio di due anni fa mio figlio Mirko provò a difendermi dall’uomo violento che avevo malauguratamente amato e che avevo poi lasciato e denunciato, quando la nostra storia era diventata per me una prigione. Quell’11 maggio si presentò all’alba armato della sua vendetta. E cominciò a colpirmi con un coltellaccio: una, due, tre, 18 volte».
«Mirko come Gessica»
Anche Piras aveva deciso di lasciare suo marito che durante l’interrogatorio del 12 maggio 2021 aveva ammesso la sua gelosia nei confronti di quella che fino al novembre 2020 era stata la sua compagna e i sospetti che avesse un altro. Da lì erano seguiti i maltrattamenti nei confronti della donna che poi lo ha denunciato. Poi l’aggressione, quella mattina di maggio, che aveva svegliato Mirko, che si era gettato in soccorso della madre. Per Piras, scrive nella lettera «Mirko è come tua figlia Gessica. Due ragazzi perduti per difenderci da uomini tanto forti di violenza quanto privi di coraggio per sopportare un addio».
«Ti auguro che nessuno osi mai dire che è stata colpa tua»
La 52enne ammette, inoltre, di aver pensato «tante volte, a questo tipo di uomini. Non siete capaci di reggere l’abbandono? Sentite di non poter più vivere senza la donna che vi ha lasciato? Se tutto questo diventa per voi così tanto distruttivo, uccidetevi. Rivolgete a voi stessi il male che avete dentro, oppure fatevi aiutare a liberarvene». E infine l’augurio a Tafta: «Ti auguro che nessuno, dall’esterno, osi mai dire che è stata colpa tua, perché quello fa male, avvelena i pensieri, ti mette sullo stesso piano dell’assassino. Una malignità. Con me l’hanno fatto più volte – confessa – Colpa mia, ha detto qualcuno, perché, dopo la separazione, non sono stata solo madre e santa ma mi sono avventurata in una storia sbagliata, con un uomo violento, per di più pachistano».
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