L’interrogatorio di Matteo Messina Denaro in carcere: «Sono un agricoltore apolide. Ho dei beni, ma non vi dico dove»
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«Mi chiamo Matteo Messina Denaro, lavoravo in campagna ed ero un agricoltore. La residenza non ce l’ho più perché il Comune mi ha cancellato. Ormai sono un apolide». È quanto ha detto il boss Matteo Messina Denaro durante l’interrogatorio, dal carcere de L’Aquila, dello scorso febbraio con il gip Alfredo Montalto e il pm Gianluca De Leo nell’ambito di un’inchiesta che lo vede indagato per tentata estorsione aggravata. Alla domande se avesse dei soprannomi il numero uno di Cosa Nostra risponde: «Mai, me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi». La sua ultima residenza è stata Campobello, dove ha vissuto parte della sua latitanza. A Messina Denaro viene contestata una tentata estorsione a una proprietaria terriera, Giuseppina Passanante, figlia di un vecchio boss.
La lettera con le minacce
Dal canto suo, declina ogni responsabilità sostenendo di essersi limitato a scriverle una lettera per riavere un terreno che sarebbe stato suo. Emerge anche un mistero: riferisce di avere dei beni, ma non rivela dove. «Ascolti, questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983. Mio padre era amico del papà della signora, che oggi è morto. E allora gli ha chiesto se poteva fare il favore di intestarsi questo bene. E lui ha detto di sì», spiega Denaro. Tanti anni dopo, la figlia di Passanante voleva venderlo quel terreno. «E io lo vengo a sapere quando – aggiunge il boss – l’affare era quasi concluso, sotto prezzo. E allora cosa ho fatto? Alla signora ho mandato una lettera. E gliel’ho pure firmata. Perché credevo di essere nella ragione dei fatti».
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