Save The Children, la classifica delle regioni più amiche delle mamme: «Se le donne lavorano nascono più bambini» – Lo studio
La Provincia autonoma di Bolzano è la regione più amica delle mamme. L’Emilia Romagna si posiziona al secondo posto e la Valle D’Aosta al terzo. La Basilicata, invece, è all’ultimo, preceduta da Sicilia e Campania. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Save The Children, Le Equilibriste, che ha calcolato l’indice delle madri per regione in un’analisi basata su sette dimensioni: demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva. E per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. Se lo scorso mese l’Istat ha rilevato che in Italia la natalità è al minimo storico, lo studio dell’Ong sottolinea che si diventa madri sempre più tardi. L’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa. Le cause sono molteplici e si intersecano tra loro. Dallo studio spicca la relazione diretta e positiva tra fecondità e partecipazione femminile al mercato del lavoro, dove il gender gap è ancora ancora molto elevato.
Il divario di genere tra instabilità e precarietà
«Sappiamo che dove le donne lavorano di più nascono anche più bambini, con un legame tra maggiore fecondità e posizione lavorativa stabile di entrambi i partner», spiega Antonella Inverno, responsabile Politiche infanzia e adolescenza di Save the Children Italia. «Tuttavia, la condizione lavorativa delle donne, in particolare delle madri, nel nostro Paese è ancora ampiamente caratterizzata da instabilità e precarietà, a cui si aggiungono la carenza strutturale di servizi per l’infanzia, a partire dalla rete di asili nido sul territorio, e la mancanza di politiche per la promozione dell’equità nel carico di cura familiare», aggiunge. Il divario lavorativo tra uomini e donne nel 2022 ha segnato una leggera decrescita, ma risulta essere molto più ampio in presenza di bambini. Nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.
Le differenze tra nord e sud e perché conta il titolo di studio
In questi dati due fattori risultano centrali e di peso: le differenze geografiche e il titolo di studio. Il divario tra Nord e Sud si fa sentire. Nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli è al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli). Nel nostro Paese le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media. Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini). Quota che cresce al 37% se ci sono figli minorenni, a fronte del 5,3% dei padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto.
Le famiglie monogenitoriali
Se si prendono in considerazione le famiglie monogenitoriali il gap lavorativo per le donne connesso a genere e genitorialità è ancora più alto. L’80% dei nuclei famigliari di questo tipo sono composti da madri single, che nel 44% dei casi vivono in una condizione di povertà. E risulta essere più diffusa tra chi ha un basso livello di istruzione (65%), rispetto a chi ha conseguito un livello di istruzione medio (37%) o alto (13%). «L’Italia è un paese a rischio futuro, e se è vero che il trend di denatalità non può essere invertito velocemente, è ancor più vero che è quanto mai urgente invertire il trend delle politiche a sostegno della genitorialità per non perdere altro tempo prezioso», chiosa la responsabile delle Politiche infanzia e adolescenza di Save the Children Italia.
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