Michela Murgia racconta la sua famiglia queer: «Chi fa l’amore con chi? Vi svelo un segreto: non è il nostro primo problema»
Dopo aver presentato la sua queer family, Michela Murgia è stata inondata di domande. «Ma alla fine, chi scopa con chi?», le hanno chiesto gli utenti. Oppure: «Come fai a gestire il tema della sessualità?». Così oggi, 14 maggio, la scrittrice fa chiarezza, con la “seconda puntata” social del suo disvelamento famigliare. «Potrei dire che il desiderio è personale e ciascuno nel mondo lo vive come e con chi vuole in ogni situazione. Ma la domanda merita una risposta articolata, perché rivela il meccanismo di iper-sessualizzazione che si innesca ogni volta che parliamo di organizzazione dei rapporti in modo “non tradizionale”», premette la scrittrice, in un lungo post su Instagram, in cui spiega perché si tende a sessualizzare le famiglie non tradizionali e a romanticizzare quelle binarie. «Legittimare un solo modello implica proprio questo: indurci a pensare che le cose in quella cornice avvengano in modo “normale” e che tutte le altre situazioni siano luoghi senza regole, dove si praticano stravizi sessuali in una specie di orgia permanente e instabile», spiega la scrittrice. «Vi svelo un segreto: esattamente come tutte le famiglie, una famiglia queer è un posto dove si organizza la responsabilità reciproca, non le scopate», precisa Murgia. Che nelle scorse settimane, dopo aver annunciato che le mancano pochi di mesi di vita a causa di un tumore, ha preso una casa per la sua queer family.
«Gli aggettivi della nostra famiglia sono moltiplicativi, non possessivi»
«Ho trovato casa, per le rate un modo troveremo, organizziamo il lavoro, curiamo le fragilità, ritira la tintoria, bagna le piante, ho preso gli agretti per la cena insieme di domani, mamma ti manda il panettone, non preoccuparti di questo, chiama l’idraulico, ci penso io, ci pensiamo noi. Nessun “ti amo” varrà mai quanto un “ci penso io”», scrive ancora Murgia. E sottolinea che dentro a questa dinamica ci «sono rapporti che visti da fuori appaiono tradizionali e dentro alla famiglia queer si aprono, rivelando potenzialità enormi». Rivela che in passato ha frequentato un uomo che «non aveva la queerness in testa». E racconta: «Chiesi a mio figlio “tu non sei preoccupato che quest’uomo richieda molto e sappia dare solo dentro quello schema?” Mi disse: “Tu sei mia, io sono tuo e lui è nostro: come posso essere preoccupato?”. Aveva vent’anni e già tutti gli aggettivi esatti: sembrano possessivi, sono moltiplicativi».
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