Il Nobel Parisi: «Il climate change è un problema evidente, ma i costi per risolverlo sono altissimi e finirebbero per colpire i deboli»
I cambiamenti climatici sono ormai evidenti, e la corsa contro il tempo per cercare di placarne l’impatto attraverso lo sviluppo e l’uso di tecnologie green è ormai una questione di importanza strategica per il futuro. I costi per riuscire ad arginarlo sono elevatissimi, specialmente in un contesto post-pandemico e con un conflitto di lunga durata e ampia portata come quello innescato dalla Russia contro l’Ucraina. Diventa dunque necessaria ed urgente l’aumento dell’uso, ma anche della produzione, di tecnologie altamente sostenibili per l’ambiente, collaborando tra diversi Paesi, coniugando scienza, diplomazia e produzione industriale. I costi sono elevatissimi, e potrebbero avere un impatto ancor più devastante sulle fasce più deboli della popolazione non solo in termini economici, ma soprattutto di salute individuale e sociale. E sulla scia dell’accelerazione sull’impiego e sviluppo di tecnologie green auspicata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo viaggio in Norvegia, anche il premio Nobel Giorgio Parisi ribadisce l’assoluta urgenza dei passi da compiere in modo compatto e unitario per poter ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici sul pianeta, e sugli esseri umani.
La lectio magistralis
«La sola via per combattere l’emergenza climatica è cercare di affrontarla in maniera equa e solidale e fare in modo che le fasce più deboli della popolazione non soffrano delle misure adottate. È una battaglia che ha dei costi colossali e non solo monetari: si tratta di dover cambiare in parte il nostro tenore di vita e abitudini. Questi costi devono essere spalmati su tutta la popolazione, ma soprattutto su quella più abbiente. Tutto questo però non è praticabile in uno scenario di guerra: è necessaria un’umanità coesa», dice. Intervistato da Repubblica a margine della lectio magistralis “Scienza e pace” per l’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Bari, il professor Parisi ha sottolineato come la guerra ha reso evidente a tutti «i problemi di una economia globalizzata, in cui ci sono paesi dove non c’è solo una monocultura agricola ma industriale. Ci sono paesi che si sono specializzati in certi settori e abbiamo visto che, se tutto un comparto di produzione è concentrato in un paese, diventa poi complicato se quel paese ha delle difficoltà a continuare».
I problemi dei chip
E il fisico Parisi prosegue: «Abbiamo toccato con mano tutti i problemi legati ai chip che stanno bloccando diversi cicli di produzione. Il ricorso alle rinnovabili è certamente una possibile soluzione ma, in generale, è importante riportare nei singoli paesi tutta una serie di capacità produttive che erano state delocalizzate altrove». Il professore, nella piena consapevolezza della difficoltà dell’operazione, ricorda però che l’emergenza Covid possa creare un precedente che sia d’esempio anche nell’ambito delle politiche energetiche verdi su scala nazionale: «Proprio all’inizio del Covid servivano le mascherine e non c’erano produttori in tutta Europa. Non è ragionevole che questo avvenga per beni che possono essere essenziali. L’energia non è tutto: è necessario che localmente si ricostruisca un’autonomia in diversi ambiti».
I cambiamenti climatici
Insomma, i cambiamenti climatici e la transizione ecologica non sono solo parole, ma fatti concreti che da un lato si toccano con mano, mentre dall’altro si rende sempre più urgente un piano strategico che quantomeno possa quantomeno frenarli, cambiando stili di vita, investendo in ricerca e innovazione e in produzione industriale anche su scala nazionale, difendendo gli asset strategici. Ne va della sicurezza, della salute e soprattutto del futuro.
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