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Alghe fritte, focacce di vermi, granchi blu: quali sono i cibi del futuro che potrebbero finire sulle nostre tavole

Nei prossimi anni gli effetti del cambiamento climatico potrebbero stravolgere le nostre abitudini alimentari. Tuorlo media, magazine specializzato nel food, ha provato a capire come

La crisi climatica, ormai lo abbiamo imparato, ci costringerà ad abbandonare alcune vecchie abitudini. Tra queste, sono comprese anche quelle alimentari. Sempre più spesso si sente parlare di novel food, un’espressione con cui oggi in genere ci si riferisce a insetti, carni coltivate, microalghe o proteine alternative. Tutti alimenti che, perlomeno in Italia, in pochi hanno avuto occasione di assaggiare. Eppure, sono già in grado di dividere l’opinione pubblica, suscitando reazioni che vanno dall’euforia al disgusto, dalla curiosità alla nausea. Secondo la ricerca Insect Food e Consumatori dell’Università di Bergamo, un italiano su tre sarebbe propenso a mangiare insetti. Niente di sconvolgente, se si pensa che – stando ai dati della Fao – sono circa due miliardi le persone nel mondo che li mangiano abitualmente. Al di là dello shock culturale, come cambierà davvero la nostra alimentazione per effetto dei cambiamenti climatici? Tuorlo, magazine digitale specializzato nel mondo del food, ha provato a trovare una risposta. Nella sede di House of Mediterraneo, a Milano, si è svolta la cena Cibi del futuro. Un’occasione per interrogarsi sulle nuove frontiere della cucina e assaggiare tutte le novità che potrebbero presto finire sulla nostra tavola.

I pionieri del novel food

Per organizzare Cibi del futuro, il team di Tuorlo si è affidato ad alcuni pionieri del novel food in Italia. In particolare, quattro realtà imprenditoriali del settore: Small Giants, una startup che produce farine e snack a base d’insetti; Blueat, che recupera le specie aliene che popolano i mari per limitare la loro invasività negli ecosistemi marini; Algas La Patrona, un’azienda della Galizia, in Spagna, che raccoglie alghe; Oppure, un brand di bevande non alcoliche che punta a dare un’alternativa di tutto rispetto a chi non può o non vuole bere alcol. Tutti gli ingredienti sono finiti nelle mani di Chiara Pavan, chef stellata del ristorante Venissa da sempre attenta al tema della sostenibilità ambientale. «L’alimentazione umana si è sempre evoluta per effetto di cambiamenti sociali, economici, culturali. Oggi la spinta al cambiamento viene dalla crisi climatica», spiega Maria Rosaria Sanna, impact manager di Tuorlo Media. «Con questo progetto vogliamo avviare una conversazione costruttiva sul percorso evolutivo che come esseri umani ci troviamo ad intraprendere, senza paura di affrontare temi che possono generare apprensione o repulsione».

CAMILLA ZACCHEO | La cheffe Chiara Pavan

Il menù

Dall’incontro tra la chef Pavan e le quattro startup è nato un menù decisamente insolito, che parte dalla focaccia di vermi e finisce con un tempeh di ceci. Nel mezzo, tanti altri piatti che potrebbero far storcere il naso. Un esempio? I grissini di grilli, prodotti con le farine di Small Giants. «Da anni sviluppiamo prodotti alimentari proteici a base di farine di insetti come fonte di proteine naturali e sostenibili – spiega Francesco Majno, co-fondatore della startup –. Alcune specie di insetti sono un superfood a bassissimo impatto ambientale dal potenziale enorme per contrastare la crisi climatica». Nella cucina della chef Pavan, c’è spazio anche per le alghe. Un ingrediente che oggi viene spesso servito come decorazione, ma che secondo la startup spagnola Algas La Patrona ha tutte le carte in regola per diventare un piatto vero e proprio. «Le alghe non sono solo un elemento decorativo ma una verdura alternativa. Non solo: sono in grado di catturare la CO2 e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici», ricorda Cristina García, fondatrice dell’azienda galiziana.

CAMILLA ZACCHEO

E per restare in tema, c’è chi propone una soluzione tutto sommato semplice per trasformare la presenza di specie aliene nel mar Mediterraneo in una risorsa: mangiarle. Alla cena Cibi del futuro la chef Chiara Pavan ha potuto cucinare diversi piatti a base di specie invasive. È il caso della tartare di pesce serra, diventato ormai piuttosto comune anche nei mari italiani, oppure del granchio blu, una specie autoctona delle coste atlantiche americane. Oppure la rapana venosa, proveniente dal Mar del Giappone, o la anadara, un mollusco che a prima vista potrebbe essere confuso con una delle tipologie di vongole a cui siamo abituati. Secondo Carlotta Santolini, biologa marina e co-fondatrice della startup (tutta al femminile) Blueat, sono due i modi per trasformare la presenza di queste specie invasive in un’opportunità. «Da un lato, occorre inserire queste specie in una filiera che ne garantisca lo sfruttamento e argini le conseguenze negative della loro proliferazione in altri habitat rispetto a quelli di provenienza. Dall’altro – aggiunge Santolini – è necessario spostare l’attenzione dei consumatori dalle tradizionali specie target, già gravemente sfruttate, alle specie aliene». Nella cucina del futuro, a cambiare non sono solo i piatti che portiamo in tavola ma anche ciò che beviamo. E nel mondo della mixology c’è chi scommette che ci sarà sempre meno alcol, soprattutto in seguito agli allarmi della comunità scientifica sui suoi possibili effetti cancerogeni. «Come dice il nostro nome, nasciamo per dare un alternativa», precisa Juancarlos Pirani, fondatore di Oppure. «Oggi chi non vuole bere alcol deve spesso accontentarsi di soft drinks o succhi. Noi vogliamo dare una possibilità di scelta concreta a tutti».

CAMILLA ZACCHEO

Articolo realizzato in collaborazione con Tuorlo Media

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