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L’alluvione in Emilia-Romagna e il flop dei fondi anti-dissesto, 8 miliardi mai spesi: «Roma e il Centro sono più a rischio»

18 Maggio 2023 - 05:39 Redazione
alluvione emilia-romagna fondi anti dissesto
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In Italia 9 comuni su 10 hanno rischi di alluvione. Due cantieri su tre per le opere conclusi. Il problema è al Centro

L’alluvione in Emilia-Romagna costringe a fare i conti. E così si scopre che tra “Italia Sicura” e Pnrr ci sono otto miliardi di fondi anti-dissesto da spendere entro il 2026. Ma nessuno lo fa. Perché, secondo la Corte dei Conti, alcune regioni hanno dimostrato una «dubbia capacità progettuale». E «carenza di profili tecnici unitamente alla programmazione sul territorio». Eppure in Italia 9 comuni su 10 hanno rischi di alluvione. L’ultimo rapporto di Rendis, la piattaforma che aggiorna sugli interventi per il dissesto idrogeologico, dice che solo due cantieri su tre tra quelli finanziati sono conclusi. Il caso-limite è quello del fiume Misa. Che ha provocato 10 morti a Senigallia per l’esondazione nel settembre scorso.

Burocrazia e rimpalli

Ma, racconta oggi Il Messaggero, dal 2009 soltanto 4 chilometri del fiume sono stati messi in sicurezza. La spesa totale è stata di 4,5 milioni di euro. E lo stesso succede nel resto d’Italia. Da Nord a Sud, senza distinzioni. Eppure, spiega Erasmo D’Angelis, già sottosegretario ai Trasporti e a capo della struttura Italia sicura creata dal governo Renzi, l’Italia ha bisogno di un «immediato piano di azione». Perché il Belpaese «ha il più alto tasso di precipitazioni in Europa, 300 miliardi di metri cubi annui che si riversano in più di 7mila corsi d’acqua torrentizi». In casi come quello dell’Emilia servono «infrastrutture di difesa, specie nella bassa Romagna, per frenare le valanghe d’acqua dai monti alla pianura. Casse di espansione, aree di laminazione, grandi laghi dove può defluire l’acqua in eccesso». D’Angelis parla di interventi per 30 miliardi di euro in dieci anni.

Il problema è al Centro

D’Angelis spiega che il centro-Italia è più a rischio. E che in particolare «Roma è particolarmente esposta. Ci sono circa 360mila romani a rischio alluvione. Con Italia sicura mettemmo a gara opere per contenere la piena dei fiumi che dalla Toscana e l’Umbria, come il Paglia, scaricano nel Tevere. Molte devono ancora partire». Anche a causa della piaga dell’abusivismo: «In particolare ad Ostia, che è l’unica foce di un grande fiume urbanizzata, anche in aree ad alto rischio». A questo si aggiunge la crisi idrica in arrivo d’estate. «Serve un piano nazionale di investimenti, circa 5 miliardi annui secondo la Fondazione Hearth and Water Agenda. Azionando tutte le leve, partendo dai piccoli-medi invasi». E questo perché «l’Italia invasa solo il 4 per cento delle precipitazioni annue, un record negativo in Europa. Più acqua accumuli, più ne hai per i periodi di siccità».

Le dighe e i dissalatori

Attualmente ci sono 531 grandi dighe in Italia. Ma di queste almeno 100 sono fuori uso. Raccogliamo 8 miliardi di metri cubi di acqua all’anno invece dei 13 che potremmo. I dissalatori sono una soluzione «soprattutto per le zone costiere che non hanno fonti d’acqua autonome, penso alla Puglia. Altrove, come a Roma, non è necessario. L’acqua del Peschiera che arriva nella Capitale è tra le più buone al mondo e non si esaurirà». Ma c’è un altro problema: le perdite. «La rete idrica nazionale ha bisogno di investimenti massicci. Su 550mila chilometri, un terzo ha clamorose perdite d’acqua. Non possiamo più permettercelo».

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