Cosa prevede la stretta del governo sugli affitti brevi e perché il Comune di Milano e gli studenti si oppongono
Il governo accelera e nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la bozza di legge per regolamentare gli affitti brevi. Un testo che arriva a seguito di una serie di incontri che le istituzioni hanno avviato in questi mesi e che in settimana sarà sottoposto ai sindaci delle città e alle associazioni di categoria. La proposta principale del documento è l’introduzione di un codice identificativo nazionale, non regionale come è attualmente, e una piattaforma comune. Così da poter tenere traccia di tutti gli immobili messi in affitto. Gli occhi sono puntati su Milano, dove il tema degli affitti è al centro delle cronache per le recenti proteste avviate dagli studenti contro i prezzi insostenibili della città. E perché un sollecito al governo sul tema era stato sollevato nei mesi scorsi proprio dal sindaco Beppe Sala e dall’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran. «Noi puntiamo ad una norma che ci consenta di contenere il numero di alloggi turistici per restituirli a studenti e lavoratori, e auspichiamo che possa essere anche l’intento del governo», inizia a spiegare Maran a Open.
Il limite dei giorni di affitto
L’assessore alla Casa di Milano evidenzia come l’Italia sia «uno dei pochi paesi a non normare l’ospitalità turistica». Problematica che ha posto in più occasioni, anche prima della pandemia da Covid. Ma, commenta Maran, «oggi risulta ancora più urgente fissare nuove regole perché i numeri aumentano ogni mese». E riferisce che una delle ipotesi allo studio è che un appartamento possa essere usato a scopo turistico per un massimo di 120 giorni. «Non credo che questo modello faccia bene a Milano perché il rischio è che il resto del tempo o resti vuoto, o sia affittato in nero». Per questo motivo, la proposta del comune lombardo è quella di delineare con esattezza quali alloggi risultano per ospitalità turistiche e quali no. L’obiettivo comune resta quello di ridurre la possibilità che le case restino sfitte.
A Milano occhi puntati sul canone concordato
La ministra del Turismo Daniela Santanchè ha chiarito da subito che è necessaria una distinzione tra i privati che mettono casa in affitto e chi invece ha una rete di appartamenti e lo fa per lavoro. Dal governo chiariscono che non c’è in alcun modo il tentativo di «criminalizzare, ma solo di regolamentare». Il Comune di Milano punta all’idea del canone concordato che, secondo le stime riferite da Maran, consente di abbassare la cedolare secca dal 21% al 10% a chi affitta un appartamento entro i massimali previsti da un accordo tra associazioni dei proprietari e sindacati degli inquilini. Questo «potrebbe aiutare a ridurre l’affitto per l’inquilino del 15% e di fissare delle cifre che stanno circa il 15% sotto i valori di mercato, altrimenti sarà difficile che i proprietari aderiscano». L’assessore non si dice certo che possa essere una strada efficace e sicura, ma nel caso in cui dovesse funzionare «riporteremmo gli affitti ai valori pre Covid». Per questi motivi, è prevista anche una campagna promozionale su questo. Maran fa sapere che con le parti sociali si sono dati la scadenza di un mese per trovare un nuovo accordo. I tempi, infatti, stringono, soprattutto dato il periodo di fuoco alle porte: il mese di luglio è centrale per studenti e lavoratori che cercano casa in vista di settembre.
I soggetti coinvolti: studenti in testa
Nel processo decisionale sul macro tema degli affitti sono coinvolte anche le associazioni studentesche, che nell’ultimo periodo – a seguito della protesta di Ilaria Lamera – hanno spinto ancora di più per avere una voce in capitolo più solida. Diverse istituzioni hanno accolto il grido degli universitari, invitandoli a più tavoli di confronto. Centrali quelli in Città Metropolitana dove presenziano i sindacati degli inquilini, le associazioni del proprietari di casa, le associazioni studentesche e l’assessore alla Casa. L’ultimo in ordine di tempo si è tenuto ieri 22 maggio. «È bene che ragazze e ragazzi vedano e giudichino come lavorano le istituzioni e che tutti i soggetti al tavolo sentano la pressione dell’urgenza di soluzioni che vivono non solo gli studenti ma in generale coloro che cercano una casa in affitto in un Paese in cui gli stipendi non salgono ma i prezzi si», commenta Maran. E dagli studenti non si risparmiano critiche.
Mondini (UdU): «Sì al canone concordato, ma più attenzione a livello governativo»
A rappresentare gli studenti è Luca Mondini, consigliere nazionale di Unione degli Universitari (UdU), presente in tutti i tavoli di confronto proposti dalle istituzioni. «Ci stanno coinvolgendo sul tema del caro affitti, ma non abbastanza», denuncia a Open. «Da parte del comune di Milano c’è apertura, dato che il tavolo affitti era nato a novembre ed è poi proseguito con l’incontro di Sala e adesso con la Città Metropolitana, ma in chiave nazionale abbiamo avuto modo di confrontarci solo ed esclusivamente per un’oretta scarsa dentro il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari», prosegue il consigliere di UdU. Che sottolinea come stia «venendo a mancare un passaggio completo da parte di quegli attori che potrebbero mettere in concreto determinate politiche e proposte».
I limiti
Gli studenti concordano sull’idea del canone concordato, ma ci tengono a ribadire «che deve essere finanziato specialmente a livello governativo». Sul fronte degli affitti brevi Mondini evidenzia come si tratti di «un mondo estremamente redditizio che va a togliere dal mercato delle case un enorme quantitativo di posti letto che andrebbero sicuramente a sgravare quelli universitari». Per questo si dice favorevole al tetto sui giorni e ribadisce la necessità del canone concordato, pur riconoscendo che è un’azione limitata perché «porterà sicuramente a una diminuzione dell’attuale importo del 15%, ma resterà un regime molto lontano da quelle che noi riteniamo cifre abbordabili e che dovrà prendere in considerazione i rincari di settembre dove tutto fa presagire che ci sarà un ulteriore aumento».
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