L’ex manager dei Benetton e il Ponte Morandi: «Ecco perché sapevamo del rischio dal 2010 e dovevamo chiedere scusa»
Gianni Mion, per trent’anni “cervello” finanziario della famiglia Benetton, ha detto durante il processo per il Ponte Morandi che sapeva del rischio crollo del 2010. Ma anche che non ha detto nulla. «Ed è il mio più grande rammarico», ha sostenuto riferendosi alle 43 vittime del 14 agosto 2018. Oggi a processo ci sono 58 imputati tra manager e tecnici di Autostrade, Spea e ministero delle Infrastrutture. Mion parlava di una riunione svoltasi otto anni prima. C’erano l’Ad di Aspi Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo il ricordo del manager, tecnici e dirigenti di Spea. Nella quale «chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose “ce la autocertifichiamo”. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla».
La riunione
Gli avvocati delle difese hanno bollato l’ex manager come «inattendibile». Lui oggi torna sulla questione in un’intervista rilasciata a Repubblica. Nel 2010 Mion era a capo di “Edizione Holding”, la cassaforte degli imprenditori trevigiani. «Ma guardi che l’avevo già detto durante le indagini, ho solo ripetuto il concetto. E in quella riunione mica ci spiegarono che il ponte stava per venire giù. Nessuno ci disse che era a rischio crollo», dice a Marco Lignana. Sul verbale Mion firmò così: “In una riunione mi parlarono di un difetto di progettazione. Creava delle perplessità sul fatto che il ponte potesse restare su”. «Ma tutti noi pensavano che i controlli li facessero i nostri tecnici di Spea, poi è venuto fuori dopo come facevano le indagini. Mica sapevamo allora tutto quello che è venuto fuori dopo», spiega oggi. Mentre i familiari che lo accusano «hanno ragione. Ma cosa avrei dovuto fare, una battaglia interna?».
Le scuse
Mion torna a criticare i suoi ex datori di lavoro: «Io dissi subito dopo il crollo che bisognava chiedere scusa, sarebbe stato molto importante farlo. E lì anche Castellucci ha sbagliato, penso che anche lui, che è una brava persona, se tornasse indietro non farebbe lo stesso. Ma in quei casi poi intervengono le strategie, gli avvocati… E non solo le vittime, penso sempre a tutte le cose di cui mi sarei dovuto preoccupare e di cui non mi sono occupato. Io purtroppo non posso rinascere, ho finito la mia corsa, speravo che finisse meglio. E sono l’ultimo rimasto, l’ultimo dei Mohicani, il signor Gilberto è morto».
All’epoca criticò la loro avidità: «Era lo sconforto di fronte a tutto quello stava uscendo sui giornali». Mentre sui dividendi «non che ci sputassero sopra. Ma tutti i bilanci sono alla luce del sole, non c’è niente di segreto. E non è che non avevano fatto il nuovo ponte peri dividendi. Quello che sta facendo adesso Autostrade, tutti i controlli e le ispezioni, lo potevamo fare benissimo. Ma era un campo troppo difficile per noi. Eravamo autoreferenziali e impreparati a gestirlo. Autostrade adesso fa le ispezioni, ma spero che lo Stato e le pubbliche amministrazioni controllino».
L’indagine
Sulla possibilità di finire indagato Mion non sembra preoccuparsi più di tanto. «Eccomi qua, decidano loro. Facciano come ritengono giusto. Poi non è detto che la giustizia trionfi sempre, ma io quello che potevo dire l’ho detto, su quello che non ho fatto vedano loro se ci sono gli estremi per indagare». Cosa fa adesso? «Cosa vuole che faccia, niente, il pensionato».
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