Da Bossi a Renzi, fino a Meloni. Michela Murgia denuncia: «Siamo nel nuovo fascismo. Ecco come siamo arrivati a questo governo»
«Ministri che parlano di razza, controllo dei corpi delle donne, diritti tolti alle minoranze, epurazioni nel sistema di informazione. Ma come siamo arrivati a questo punto?». A chiederselo è Michela Murgia che con una lunga serie di stories sul suo profilo Instagram dà una sua spiegazione dichiarando senza mezzi termini che il nostro Paese è entrato in un «nuovo fascismo». Un passaggio che, a suo dire, non è avvenuto di colpo, ma è frutto di un susseguirsi e concatenarsi di eventi. Il primo che evidenzia è quando gli operai, strutturalmente votanti a sinistra, hanno iniziato a dare consensi alla Lega Nord di Umberto Bossi. «Partito che in quegli anni era apertamente razzista, antimeridionale, maschilista e separatista», commenta l’autrice di Tre ciotole. Per poi passare al secondo punto di svolta: i fatti del G8 di Genova, nel 2001. «Un punto di non ritorno. Che ha spezzato la fiducia nella democrazia», scrive Murgia ripercorrendo quanto accaduto. Oltre a evidenziare il governo in carica allora, composto da un’alleanza di Forza Italia, Lega e Alleanza nazionale.
Dalla Bossi-Fini alla retorica del merito
L’anno successivo, prosegue la scrittrice, è stato l’anno della legge sull’immigrazione Bossi-Fini, «madre di tutti i respingimenti» e due anni dopo la legge Biagi, «che precarizzava tutti i lavori fuori dal contratto nazionale di categoria. E che ha distrutto l’idea del lavoro come questione collettiva». Ed è proprio da qui, sostiene Murgia, che è iniziata la retorica del merito. Ma gli eventi continuano. Negli anni successivi «il family day, la censura in Veneto dei libri degli intellettuali sgraditi e il caso di Eluana Englaro», scrive Murgia. E di fronte a tutti questi passaggi fa un avviso ai suoi lettori: «Se questo fascismo non lo vediamo arrivare è perché non siamo abituati a vedere il fascismo arrivare da una democrazia. Lo abbiamo sempre visto da monarchie o instabilità più o meno dittatoriali. Questo percorso si chiama democratura».
Le colpe di Renzi
Ma in tutto questo cos’ha fatto la sinistra? È a questo punto che Michela Murgia punta il dito contro Matteo Renzi. Un perfetto democratore, a suo avviso. Perché «ha fatto riforme centraliste, era un populista che disintermediava la comunicazione tra capo e popolo, querelava o minacciavi di farlo giornalisti e intellettuali, e ha fatto propria la retorica del merito concretizzata nel jobs act». E Murgia non gli perdona neanche la legge sulle unioni civili: «È quella che ha stralciato la questione dell’adozione interna alla coppia Lgbt e ad aver creato la situazione che permetto oggi a Meloni di cancellare il nome di un genitore dai registri pubblici». Renzi avrebbe quindi preparato il terreno fertile per l’arrivo di Meloni al governo che «non è stato all’improvviso dalla fogna, ma è arrivato quando poteva finalmente arrivare senza che la massa lo trovasse strano o pericoloso».
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