Björk e il sessismo nell’industria musicale: «Non vedo l’ora di sentire nuova musica scritta da donne»
Björk è il nome d’arte di Björk Guðmundsdóttir. Nata a Reykjavik, il 21 novembre del 1965), è diventata famosa con l’album Debut del 1993. Ha venduto più di 20 milioni di album in tutto il mondo. Ha recitato nel film “Dancer in the Dark” di Lars von Trier. E ha partecipato anche ad alcune serie tv e, di recente, a “The Northman” di Robert Eggers. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera oggi dice che il mondo della musica è sessista. E che gli artisti che vanno in streaming devono essere pagati di più. Björk suonerà a Milano e Bologna a settembre nello show “Cornucopia”, che segue l’album “Fossora”. «Ho lavorato molto con il surround sound, portandolo sul palco e rendendolo “teatrale”. Quindi in breve “Cornucopia” è teatro digitale per il 21esimo secolo», dice a Barbara Visentin.
I servizi di streaming
Perché l’aspetto visuale nella sua musica è importante: «Ho l’impressione che per molte persone gli occhi siano più allenati delle orecchie. Quindi se un musicista crea un’estensione visiva del proprio lavoro, può diventare una scorciatoia che porta alle canzoni. Mi sembra di essere lentamente migliorata a far sì che i visual rappresentino la mia musica e ho una connessione più naturale possibile con questo aspetto. Non è separato dalle canzoni, ma crea una maggiore sinestesia». Poi arriva l’argomento industria musicale: «Prima di tutto penso che i servizi di streaming debbano pagare di più i musicisti, questo è certo. Penso che con Internet alcune cose oggi siano più complicate e altre più semplici. Un tempo dovevo volare da Paese a Paese per fare le interviste ed era estenuante, ora si può fare quasi tutto online. È anche liberatorio poter avere una voce sui propri account social senza doverla tradurre attraverso i media. Ma può anche essere opprimente per una persona giovane».
L’industria musicale
Ma il problema che più le preme del mondo della musica è il sessismo: «Mi pare che le ragazze siano così bene informate che non abbiano bisogno del mio aiuto. Quando avevo 20 anni non c’erano i computer, mentre ora si può fare tutto da casa. Questo è stato davvero rivoluzionario per il movimento femminista: non c’è più bisogno di andare per forza in studio, come negli anni Settanta, un luogo purtroppo spesso abbastanza sessista, né di dover tradurre tutte le tue idee attraverso un team di tecnici e assistenti uomini, cercando di non diventare un oggetto. Mi sento molto fortunata di far parte di una generazione che ha trovato una via d’uscita da tutto questo. Non vedo l’ora di sentire tutta la nuova musica scritta dalle donne».
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