Eva Kaili, lo sfogo dopo il carcere per il Qatargate: «Potevo mentire e uscire prima, come altri. Soldi a casa mia? Nessuno può corrompermi»
«È triste vedere come non venga rispettata la presunzione di innocenza. Mi dispiace che nessuno degli eurodeputati mi abbia cercato per ascoltare la mia versione». A pochi giorni dalla fine della sua detenzione, per quattro mesi in carcere e poi ai domiciliari, torna a parlare l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili, coinvolta nell’inchiesta per corruzione che a dicembre 2022 si è abbattuta sull’Eurocamera. Sul suo periodo in cella e a casa con il braccialetto elettronico ha un’opinione netta: «Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione». Secondo Kaili, si tratta della stessa situazione in cui si è trovato l’eurodeputato Antonio Panzeri, dichiarando che proprio a Kaili sarebbero stati destinati 250mila euro delle presunte mazzette: «Penso che il pentimento e le confessioni di Panzeri siano state ottenute sotto minaccia. Il messaggio era chiaro: se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione».
Mesi senza vedere la figlia
Proprio di sua figlia, che la politica greca ha potuto rivedere solo dopo un mese in prigione, Kaili parla in un’intervista al Corriere della Sera a cura di Giuseppe Guastella: «È stato terribile. Separare una madre per 4 mesi dalla figlia di 2 anni non solo è considerata una forma di tortura nei paesi fondati sullo stato di diritto, ma è in piena violazione della Convenzione sui diritti dei minori delle Nazioni Unite ratificata dal Belgio», dichiara Kaili. E aggiunge: «Un minore non dovrebbe mai essere separato dai propri genitori se non c’è pericolo per la sua incolumità fisica o mentale. È una tortura inutile perché le indagini avrebbero potuto procedere allo stesso modo con me agli arresti domiciliari. I bambini sotto i tre anni possono stare con le loro madri, ma a me non è stato permesso».
L’esperienza del carcere
Un’esperienza non facile quella di Kaili in prigione: Subito dopo l’arresto – racconta – al commissariato di polizia sono stata messa in isolamento in una cella con luci e telecamera di sorveglianza sempre accese, senza acqua corrente. Ho sofferto il freddo gelido perché mi è stato tolto il cappotto. Ero preoccupata per la mia bambina, perché i primi giorni non mi è stato permesso di chiamare un avvocato, né la mia famiglia. Il carcere, però, non cambia ciò che siamo, è il modo in cui reagiamo ciò che ci definisce. Il mio avvocato greco Michalis Dimitrakopoulos, mi ha chiesto di parlare perché ho avuto la rara opportunità di assistere e osservare come vengono trattate le persone nelle carceri in Belgio. Invece di chiudere i centri penitenziari e ridurre l’uso della detenzione preventiva, si stanno costruendo carceri più grandi e le vecchie carceri vertono in condizioni disumane e sono sovraffollate. Pene più estreme non rendono una giustizia più giusta».
La sua versione dei fatti
L’ex presidente dell’Europarlamento coglie l’occasione per dare la sua versione dei fatti: «Quando Francesco (Giorgi, il suo compagno, collaboratore di Panzeri, ndr) è stato arrestato e gli hanno sequestrato l’auto, ho pensato ad un incidente stradale. Poi mi hanno mandato la notizia che anche Panzeri era stato arrestato. Sono andata in panico. Sapevo che nel suo ufficio che è nella stanza di sopra, dove non vado mai, c’era una valigia di Panzeri e ho trovato un sacco di soldi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma volevo allontanare da casa quel denaro per ridarlo a Panzeri, colui che credevo ne fosse il proprietario. Non ho pensato minimamente di avvalermi della mia immunità parlamentare, e questo dimostra che non sapevo assolutamente ciò che quel denaro rappresentava realmente».
Dimostrerò la mia innocenza
Kaili sostiene di sapere solamente che «Panzeri riceveva donazioni. Data la sua esperienza negli affari esteri e nei diritti umani, ha avuto contatti con diverse persone di paesi terzi e attraverso la sua ong Figth impunity promuoveva una causa nobile. Ci sono testimonianze documentate sulla sua attività nel Parlamento e sulle persone che ha coinvolto. Io non sono tra quelle. Le commissioni parlamentari di cui faccio parte e il mio lavoro legislativo non hanno alcuna relazione con le sue attività. Anche i servizi segreti confermano che non faccio parte di nessuna organizzazione criminale. Nessuno può corrompermi. Dopo più di un anno di indagini i miei conti correnti e le mie proprietà sono state controllate e sono risultate cristalline. Sulle banconote trovate non ci sono le mie impronte digitali. Con i miei avvocati dimostrerò la mia innocenza».
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