Adulto, ricco, urbanizzato: l’identikit del produttore di emissioni. «Una società che invecchia inquina di più ed è più ingiusta» – Il rapporto
«Il 10% più ricco della popolazione mondiale produce il 48% dei gas serra globali, mentre il 50% più povero ne emette appena il 12%». Non basta certo questa frase ad esaurire il concetto di (in)giustizia climatica, ma a darne un valido esempio, certamente sì. Il dato è contenuto nel report del Joint Research Center di Ispra (Varese) sulle relazioni tra demografia e cambiamento climatico, presentato oggi 5 giugno alla presenza della vicepresidente della Commissione Ue Dubravka Suica. L’Ue si è posta l’obiettivo di diminuire del 55% le proprie emissioni nel 2030 rispetto al quelle del 1990, per poi raggiungere la neutralità carbonica nel 2050. Obiettivo che viene considerato sia «economicamente possibile», che «vantaggioso» per il continente. Lo ha fatto, però, per sua stessa ammissione, senza considerare adeguatamente il ruolo degli studi demografici nella partita che si giocherà da qui ai prossimi 27 anni. Nella giornata mondiale dell’ambiente 2023, lo studio del JRC – centro d’eccellenza transnazionale dedicato a produrre evidenza scientifica a supporto delle politiche dell’Unione – offre numerosi spunti ai legislatori europei per recuperare terreno.
I giovani (e i poveri) inquinano meno
La prima delle conclusioni evidenziate dal rapporto – illustrato al JRC dell’Ispra dal direttore generale del centro Stephen Quest, assieme a Fabrizio Natale, principale autore del documento – mostra come all’aumentare dell’età delle persone, aumenti anche il contributo delle persone al cambiamento climatico. A produrre meno emissioni sono bambini e ragazzi, mentre queste raggiungono il picco pro capite man mano che aumentano età e reddito disponibile. Quest’ultimo raggiunge il massimo nella fascia anagrafica tra i 45 e i 49 anni, ma viene compensato dal fatto che adulti di quell’età hanno spesso dei figli da accudire che abbassano la media di emissioni pro capite prodotte dal nucleo familiare nel proprio complesso. Insomma, in media più si può spendere, e più si inquina.
Una popolazione che invecchia, inquina e diventa più vulnerabile
La popolazione dell’Ue invecchia sempre di più, così come fra pochi decenni invecchierà sempre di più la popolazione di tutto il mondo, che dovrebbe raggiungere il proprio picco – compreso fra i 9 e gli 11 miliardi – tra il 2060 e il 2085. «Il fatto – si legge nel rapporto – che sempre più emissioni saranno prodotte da persone anziane che hanno meno possibilità e predisposizione al cambiamento rende necessario indirizzare le politiche di mitigazione in particolare verso le vecchie generazioni». I trend descritti, inoltre, evidenziano il «bisogno di politiche che riducano le ineguaglianze generazionali». Per quanto riguarda i Paesi dell’Africa subsahariana – che stanno vedendo in questi anni il proprio boom demografico o lo vedranno nei prossimi – il JRC evidenzia la necessità di sostenere economicamente questo sviluppo senza che nasca una dipendenza dai combustibili fossili, ma garantendo alla popolazione l’agiatezza necessaria a passare da un tipo di società ad alta natalità-alta mortalità a uno di tipo bassa natalità-bassa mortalità.
Città vs campagne
Un altro elemento che emerge dallo studio è la capacità delle economie di scala delle città di ridurre l’impatto ambientale di chi ci vive. Nelle aree urbane, i palazzi, ad esempio, tendono ad essere composti di più unità, che quindi sfruttano il riscaldamento e il raffreddamento di quelle adiacenti. I cittadini possono servirsi maggiormente dei mezzi pubblici, provocando una diminuzione drastica delle emissioni legate ai trasporti. In generale, beni e servizi sono più concentrati, e c’è una minore necessità di spostarsi per usufruirne. D’altro canto, rispetto a chi vive in zone rurali, gli abitanti delle aree urbane guadagnano di più, e quindi tendono a inquinare di più, come visto precedentemente. Un altro fattore che porta le emissioni prodotte dai cittadini a salire è la minor dimensione dei loro nuclei familiari. Meno persone che vivono sotto lo stesso tetto significa un maggior uso di risorse pro capite.
L’istruzione porta all’azione
Altro tema toccato è quello dell’istruzione sul cambiamento climatico. Chi conosce il fenomeno è più portato a modificare il proprio comportamento per ridurlo. E a sapere di cosa si tratta sono in maggior misura i giovani, nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni, tra cui oltre il 60% è al corrente del problema, mentre nella fascia over 60 la consapevolezza si ferma al 55%. Andamento simile si riscontra nell’istruzione. Con oltre l’80% dei laureati a conoscenza del fenomeno, rispetto al 65% dei diplomati. Infine, anche dove si vive fa la differenza, con 55 abitanti delle zone rurali su 100 che sanno di cosa si parla, contro i 65 su 100 delle zone urbane. Come mostrato nei grafici di seguito, quanto si sa sul cambiamento climatico e quanto questo preoccupi sono entrambi fattori che incrementano il livello di azione personale che si è disposti a intraprendere per mitigarlo.
La crescita economica non equivale al benessere…
Analizzati i dati, gli autori giungono alle conclusioni. «Per poter raggiungere la neutralità climatica – si legge nelle pagine finali – la società deve ripensare se la crescita economica può continuare ad essere il principio guida per lo sviluppo futuro. È già in corso un dibattito sull’utilizzo di indicatori di sostenibilità o indicatori di benessere al posto del prodotto interno lordo. Un tale cambiamento di paradigma sarebbe vantaggioso per far fronte all’aumento della popolazione globale e della sua ricchezza economica. Aiuterebbe anche a cambiare i modelli di consumo e a rendere gli stili di vita futuri più rispettosi dell’ambiente, pur mantenendo crescenti i livelli di benessere».
…serve il senso di comunità
Inoltre, «l’istruzione sarà una pietra miliare per la società sostenibile. Non solo per comprendere l’urgenza della transizione climatica, ma anche per capire come gli stili di vita possono essere più sostenibili. Un’altra pietra miliare sarà generare una spinta sociale per l’azione ambientale». «Alcuni sviluppi demografici – continua il report – sono vantaggiosi per creare una spinta così sostenuta. Per esempio, l’urbanizzazione potrebbe creare dinamiche comunitarie che alimentano una spinta sociale auto-rafforzante per ottenere stili di vita più sostenibili. La coesione sociale svolgerà un ruolo cruciale nella creazione di un’ampia accettazione da parte del pubblico dell’ambiente azione e dovrebbe essere al centro di qualsiasi strategia climatica». Il messaggio è chiaro. Si vedrà se lo sarà anche la risposta dell’Unione.
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