Colombia, parla il generale che ha salvato i 4 bambini: «Un miracolo. Non si fidavano del cibo, ma la voce della nonna li ha aiutati»
Il generale Pedro Sánchez García, 50 anni, è a capo del Comando congiunto operazioni speciali della Colombia. Ha condotto lui e la sua squadra (enorme, fatta di 200 unità) le ricerche di quattro ragazzini, dispersi nella giungla amazzonica dopo un incidente aereo. Li ha ritrovati vivi e vegeti. In quello che lui definisce una sorta di miracolo, realizzato solo grazie a «costanza, certezza, fiducia». L’intervista che ha rilasciato a Repubblica parla di resistenza, anche quando le speranza di trovare Lesly, 13 anni, Soleiny, di 9, Tien, 4, l’unico maschietto della famiglia, e la piccola Cristin di appena 1 anno, sembravano vane. «Temevo di fallire – ha ammesso – e al tempo stesso mi sembrava di inseguire una missione impossibile. Agivamo in un ambiente ostile, nelle peggiori condizioni. Era una battaglia contro la natura. Una sfida mai provata prima». Durante le ricerche durate una quarantina di giorni, spiega , quante volte gli è sembrato di esser vicini a una soluzione. Come quando il 18 maggio trovarono tracce fresche del passaggio dei bimbi. «Abbiamo spedito sul punto tutti i nostri uomini – dichiara – ma una volta arrivati erano sparite. Cancellate dalla pioggia. Cade anche per 16 ore al giorno, il fango le copre. Tutto diventa uniforme».
Il messaggio registrato della nonna
Quando il Cessna è caduto il generale spiega che la madre probabilmente «teneva in grembo la più piccola» salvandole così la vita. Dopo lo schianto i bambini sono rimasti nel velivolo qualche ora, poi, una volta fuori, si sarebbero accampati lì vicino. Al momento del ritrovamento avevano con sé tre chili di farina di manioca. «L’hanno usata per nutrirsi», spiega, riuscendo anche a ricavare del latte per la più piccola di loro. Poi le razioni alimentari lasciate dagli elicotteri che i bambini però rifiutavano perché forse ritenuti elementi estranei e la voce della nonna, registrata, sparata nella giungla. Sánchez García l’ha definita una buona idea. «Sappiamo che l’hanno ascoltata. Li ha fatti sentire a casa. Era una voce familiare. Forse in quel momento hanno capito che li stavamo cercando». Infine il generale racconta quando li ha trovati: «Non abbiamo parlato. Siamo rimasti in silenzio. Ci siamo solo guardati. Li rispettavo. Rispettavo le loro emozioni. Sentivo quello che provavano. Comunicavamo solo per energie. Tutti sono rimasti muti. Si sentano soltanto i rumori della foresta. Loro erano spaventati, sotto shock. Li ho osservati a distanza. Parlavano gli occhi. Abbiamo atteso per un po’, il tempo di entrare in sintonia. Loro si guardavano attorno: le mimetiche, le nostre facce, cercavano di capire chi fossimo e cosa volessimo». E ancora: «Ho evitato di fare delle domande. Ho lasciato loro il tempo di capire che erano vivi, che erano in salvo».