L’incredibile telefonata di Silvio Berlusconi del 1995: «Tutte le volte che mi vedo in tv mi faccio schifo»
«Tutte le volte che mi vedo in tv mi faccio schifo». Può sorprendere, ma la frase con quel giudizio su di sé così definitivo appartiene a Silvio Berlusconi. Finiva così una telefonata che mi aveva fatto fra le tante nella primavera del 1995. A quell’epoca il leader di Forza Italia mi chiamava con una scusa o con un’altra un paio di volte alla settimana. Il motivo – mai reso palese – era semplice. Da qualche tempo aveva dovuto lasciare il suo primo incarico da premier a palazzo Chigi, quello ottenuto dopo la discesa in campo nelle elezioni del 1994. Presidente del Consiglio era diventato – con il suo accordo – il ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi: Lamberto Dini, che fino a inizio 1994 era stato direttore generale della Banca d’Italia. Ma evidentemente i due non avevano un filo diretto continuo come avrebbe voluto il Cavaliere.
All’epoca lavoravo a Milano Finanza, di cui ero vicedirettore, e a Berlusconi era ben noto il rapporto di amicizia che legava Dini a Paolo Panerai, direttore ed editore dello stesso Milano Finanza. Così mi chiamava spesso parlando dell’attualità, offrendo anche suoi giudizi pungenti, e sondando che sapessi mai io delle intenzioni di Dini (di cui in realtà sapevo assai poco). Capendo le sue intenzioni, tenni viva la sua curiosità romanzando un po’ per dargli qualche soddisfazione. Dal canto suo – e da qui deriva l’audio pubblicato da Open – Berlusconi recitava un suo assoluto disinteresse per un ritorno a palazzo Chigi, quasi a volere trasmettere indirettamente a Dini un messaggio di tranquillità.
Nella telefonata qui pubblicata spiegò di non avere nostalgia. Perché lui non riusciva a stare con le mani in mano e invece a Palazzo Chigi si annoiava, perdendo un fracco di tempo. Non solo. Da premier lo obbligavano a presentarsi davanti alle telecamere, e la cosa – disse nella telefonata – era proprio contro la sua natura: «Io ho l’idiosincrasia ad apparire». Avesse potuto lui sarebbe fuggito dalla tv. E siccome l’affermazione sembrava poco credibile, la rafforzò spiegando di essere stato editore in campo delle sue tv per 15 anni ma di essere apparso solo qualche rara volta perché l’avevano costretto. Ed era pentito pure di quello: «Tutte le volte che mi vedo in tv mi faccio schifo».
Ovviamente non usai nell’immediato le cose che mi diceva Berlusconi, altrimenti rischiavo la fine prematura di quel rapporto che era anche divertente. Ma non furono del tutto inedite quelle telefonate. Feci un patto con un collega, Augusto Minzolini, che all’epoca lavorava al servizio politico de La Stampa. Gli facevo ascoltare le telefonate con Berlusconi e in cambio lui mi faceva ascoltare quelle con l’avvocato Gianni Agnelli – il suo editore – che lo chiamava come sua abitudine il mattino all’alba. Minzolini ricavava da me qualche curiosità per le sue cronache politiche e io ricevevo in cambio da lui sostanza per le mie cronache economiche. Nessuno dei due citava fra virgolette, e se proprio era necessario riferiva “confidenze” fatte ai collaboratori dell’uno e dell’altro.
Per anni ho vissuto convinto che Berlusconi non se ne fosse mai accorto: non una protesta, non una smentita. Pensavo di averla fatta franca contando sul fatto che i suoi sfoghi con me fossero ripetuti nella giornata a chissà quante altre persone. Nel 2001 però Berlusconi tornò a palazzo Chigi. Ero diventato cronista parlamentare e un giorno a Montecitorio lo incontrai nel corridoio che portava all’ufficio provvisorio del presidente del Consiglio. Berlusconi mi fece un cenno allontanando i suoi collaboratori: «Devo dirle una cosa molto riservata».
Ma prima di iniziare a svelare, alzò il dito indice della mano destra in segno di ammonizione e fece una premessa che mi gelò: «Questa cosa non la deve dire a nessuno, mi raccomando. Nemmeno al suo amico Minzolini…». Se ne era sempre accorto, ma evidentemente gli faceva comodo che uscissero le cose che mi diceva. Di certo non gliela avevo mai fatta in barba…
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