L’omaggio a sorpresa di Freccero a Berlusconi: «Io volevo fare cultura, lui soldi. Ma eravamo entrambi dei visionari»
«La morte, anche se prevedibile e annunziata, lascia sempre una forma di stupore e incredulità»: con queste parole si apre la lunga lettera pubblicata oggi, 18 giugno, su La Verità da Carlo Freccero. Il riferimento è alla recente dipartita di Silvio Berlusconi, la cui impronta «sugli anni Ottanta e Novanta del Novecento» – secondo il dirigente televisivo di lungo corso – è stata «così forte e così totale» che la sua fine appare oggi «avvolta in una sorta di incredulità e insieme di nostalgia». Freccero traccia un bilancio dell’eredità di quell’epoca: anni non solo «del benessere materiale e della Milano da bere», ma anche e soprattutto di «una sorta di vitalità ed egemonia culturale».
«L’Italia insegnò al mondo a fare Tv»
Perché, spiega, se da un lato l’Italia in quegli anni «si allinea ai diktat del pensiero consumistico americano», lo fa «con uno spirito critico e una creatività propria, imponendo il gusto italiano nel mondo». Uscendo dai suoi confini, il Paese «insegna agli altri a fare televisione, moda e stili di vita». Un «piccolo miracolo», prosegue Freccero, di cui racconta di esser stato testimone e in un certo senso comprimario. «Io stesso ero in parte critico verso il gusto prevalente nella televisione berlusconiana», confessa. «Come direttore di La Cinq, ho dovuto esportare la televisione commerciale in Francia», aggiunge. Ricorda Freccero che, nonostante all’inizio la rete televisiva fosse stata «travolta dalle critiche», dopo gli aggiustamenti iniziali «anche la cultura tradizionale francese ha iniziato ad aprirsi». Aprirsi all’idea che «la televisione commerciale rappresentava comunque un nuovo medium, una nuova possibilità di espressione con cui era necessario confrontarsi». Freccero viene poi al suo rapporto con Berlusconi: lo definisce «contrastato», ma riconosce che quando lo scelse per trasformare Tele Milano in una televisione commerciale gli offrì «una bellissima opportunità».
La censura
«Ho partecipato alla creazione di quel mondo, alla creazione di Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Poi La Cinq in Francia e Tele Cinco in Spagna. Non c’erano orari di lavoro o di ufficio: la televisione prendeva forma da una sorta di total immersion che si protraeva sino a notte fonda». Berlusconi, afferma, «aveva una naturale propensione per lo spettacolo popolare. Io volevo fare cultura – commenta Freccero -, Berlusconi voleva fare soldi. Ma eravamo entrambi dei visionari». Freccero tuttavia non manca di sottolineare: «Io ho nei confronti della censura una sorta di allergia naturale. Non la tolleravo e non la tollero. (…) E sulla censura il nostro rapporto si interruppe». «Il mio allontanamento dalla Fininvest – ripercorre – avvenne all’epoca di Mani Pulite. Io volevo fare Tv-verità, il Caf (Craxi, Andreotti, Forlani), la politica dell’epoca, pretendeva appoggio dalle televisioni berlusconiane». E poi, l’editto bulgaro, che lo sollevò per anni «da ogni mansione in Rai»: «Subii un ostracismo totale. Molti compagni di sventura di allora portano rancore. Ma io ho dimenticato tutto quando ho potuto accedere alla nuova avventura delle televisioni digitali. Mi sono idealmente riavvicinato a Berlusconi anche se tra di noi non c’è più stato nessun contatto, dopo il colpo di Stato del 2011».
Una «nuvola vintage»
L’epoca berlusconiana, tuttavia, a detta di Freccero «non era niente rispetto al totalitarismo mondiale per cui oggi tutta l’informazione è in mano a cinque grandi gruppi mediatici, a loro volta proprietà delle grandi corporation del World Economic Forum». Di fronte a questo «mondo inumano», conclude, «gli anni di Berlusconi ci appaiono oggi in una nuvola vintage. E prima di morire Berlusconi stesso ha compiuto un gesto di nostalgia verso quel passato. Prima del ricovero al San Raffaele ha chiesto di essere portato a Milano 2, la città ideale da cui partì la sua fortuna imprenditoriale».