Giustizia climatica (anche) per l’Ucraina? Lasota: «Così l’industria dei combustibili fossili sostiene l’invasione russa» – L’intervista
Da Strasburgo – «Se c’è ancora qualche politico che nel 2023 nega il cambiamento climatico, allora dobbiamo fare di tutto per toglierlo dall’incarico». Dominika Lasota ha 21 anni, è un’attivista per la giustizia climatica e una delle organizzatrici del movimento Fridays For Future in Polonia. Il New York Times l’ha descritta come l’ideatrice «di un nuovo tipo di attivismo» poiché ha saputo mettere in relazione la lotta per il clima con l’opposizione all’invasione russa in Ucraina. «Se l’Unione Europea vuole fare sul serio per la nostra sicurezza e la pace globale, deve tagliare i ponti con tutte le dittature e accelerare la transizione verde e giusta delle sue economie», dice a Open sottolineando come «un’Europa senza combustibili fossili può diventare una forza trainante per l’eliminazione degli stessi in tutto il mondo». Alla Cop 26 a Glasgow, la giovane attivista – insieme ad altre manifestanti tra cui Vanessa Nakate e Nicole Becker – ha protestato davanti alla sede della Conferenza delle Nazioni Unite prima di un discorso dell’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, accusandolo di non aver mantenuto la promessa di fornire 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima ai Paesi in via di sviluppo. Da diversi anni in prima linea contro le tendenze autocratiche del governo di destra polacco, Lasota confida che le prossime elezioni previste in autunno, «determineranno se noi giovani avremo un futuro o meno in Polonia».
Come giudichi l’atteggiamento dei governi europei nei confronti del cambiamento climatico?
«Se i politici al giorno d’oggi negano (ancora) le conseguenze del cambiamento climatico, devono essere rimossi dal loro incarico. È semplice! Gli ultimi anni ci hanno offerto abbastanza prove e diverse storie di tragedie di massa, per farci capire chiaramente che la crisi climatica è qui e che dobbiamo fare tutto il possibile per evitare il peggio. C’è stato un tempo in cui abbiamo parlato con calma, in cui abbiamo chiesto una loro azione, in cui li abbiamo motivati a cambiare. Ma ora, se ignorano il problema, o peggio ancora, se continuano mantenere i rapporti con il settore dei combustibili fossili, allora stanno minacciando le nostre comunità, la nostra gente e non dovrebbero fare politica. Ecco perché abbiamo il pieno diritto di affrontarli, di protestare, di disturbare il loro lavoro. Se non lo portano a termine in modo corretto, devono sapere che la gente non resterà in silenzio e non si lascerà intimidire».
Gli attivisti per il clima non vengono ascoltati dalla politica, al contrario sono citati spesso in giudizio per le loro azioni di disobbedienza civile. Cosa ne pensi?
«In tutta Europa vediamo che sono i cittadini comuni – piuttosto che i criminali dei combustibili fossili – a essere presi di mira dai governi. Quando le aziende energetiche aumentano intenzionalmente le nostre bollette energetiche e aprono nuovi progetti mortali nel settore del petrolio o del gas, le persone che protestano e che intraprendono azioni coraggiose per proteggere il futuro di tutti noi, diventano nemici. È una realtà assurda. In Polonia, gli attivisti stanno diventando oggetto di molestie, sia da parte dei politici che dei troll online che ci attaccano dopo ogni azione. A volte fa un po’ paura, ma cerco di ricordare costantemente a me stessa perché sto facendo tutto questo, ovvero per garantire la sicurezza della mia famiglia, dei miei amici e la mia. Che non sono io la “cattiva” in questa situazione, lo sono i rappresentanti dei combustibili fossili, e che diventa sempre più difficile che avvenga il cambiamento nella società. Questo mi fa andare avanti. Ma dobbiamo capire collettivamente che negare la crisi climatica, sostenere i politici che non fanno nulla al riguardo o accettare alcune misure draconiane adottate dai governi nei confronti degli attivisti non ci renderà sicuri. Ci mette solo a rischio, come società, di fronte alle crisi».
Fridays For Future si sta battendo affinché l’Europa smetta di acquistare combustibili fossili dalla Russia. A che punto siamo?
«Sappiamo che l’industria dei combustibili fossili è al centro dell’economia russa ed è proprio questo settore che offre a Vladimir Putin il denaro per la sua bestiale invasione dell’Ucraina. Ovviamente, sono sollevata nel vedere che molti Stati europei, dall’anno scorso, hanno iniziato a tagliarsi fuori dai combustibili fossili russi, ma siamo ben lontani dall’aver concluso il lavoro. Ci sono ancora Paesi come l’Ungheria, la Germania o persino la Polonia che hanno stretto accordi energetici mortali con il Cremlino. Tutto questo deve finire per sempre, se l’Europa vuole avere la coscienza pulita. Non possiamo convincere Paesi come l’India o la Cina a smettere di trattare con Putin, se manteniamo ancora dei legami. L’Europa senza combustibili fossili può diventare una forza trainante per l’eliminazione degli stessi in tutto il mondo. L’invasione ha mostrato al mondo intero fino a che punto possono spingersi i dittatori nella loro ricerca del potere. Se l’Unione Europea vuole fare sul serio per la nostra sicurezza e la pace globale, deve tagliare i ponti con tutte le dittature e accelerare la transizione verde e giusta delle sue economie. Non c’è pace se trattiamo con i criminali di guerra, non c’è sicurezza se la basiamo su petrolio, gas o carbone».
In autunno si voterà in Polonia. Cosa c’è in gioco con queste elezioni?
«Le prossime elezioni determineranno se avremo un futuro o meno in Polonia. Ne sono sinceramente convinta. L’attuale governo – guidato da Diritto e Giustizia (Pis) – non ha fatto quasi nulla per quanto riguarda l’attuazione di una politica climatica nel nostro Paese. Le energie rinnovabili sono bloccate, le miniere di carbone hanno il permesso di operare fino a quasi il 2050, le principali compagnie di combustibili fossili continuano a pianificare nuovi investimenti. Non si parla di adattamento al clima, per cui i cittadini polacchi non hanno alcuna possibilità di prepararsi ai possibili effetti della crisi climatica in corso. Per progredire come Paese – in termini di economia, clima, sistema sanitario, tutela dei diritti umani – abbiamo bisogno di un cambio di potere. È per questo che noi, come giovani attiviste, stiamo già mobilitando le persone per votare alle elezioni. Parliamo con l’opposizione, a volte la sfidiamo, e daremo il massimo in questa battaglia, perché le nostre vite dipendono letteralmente dall’esito di queste elezioni monumentali».
Che ruolo avrà il voto dei giovani alle prossime elezioni europee e quanto concreto è il rischio di vedere non rappresentate le battaglie climatiche?
«Nelle precedenti elezioni europee, i giovani hanno svolto un ruolo fondamentale nel votare politici pronti a lottare per l’azione a favore del clima. Ora la situazione è molto più difficile, soprattutto perché ci sono molte altre crisi da affrontare. Con l’aumento del costo della vita, la guerra, l’emergenza climatica, la vita delle persone sta diventando sempre più difficile. E purtroppo non tutti i politici sono interessati a rendere la vita più facile o più sicura. Molti di loro scelgono di difendere ancora gli interessi delle lobby aziendali, come quella dei combustibili fossili. C’è anche una grave ondata di populisti in aumento, a causa della quale dobbiamo lottare ancora di più per proteggere la transizione verde e giusta e l’azione per il clima all’interno dell’agenda politica. Dato che la crisi climatica si aggrava di anno in anno, ogni elezione è importante. Per questo motivo, all’interno dei movimenti giovanili faremo tutto il possibile per garantire che le prossime elezioni europee ci portino dei leader coraggiosi con una buona visione per il domani. Ma la battaglia sarà dura e avremo bisogno dell’aiuto delle generazioni più anziane, come mai prima d’ora».
Nell’ultimo periodo la strategia di FFF sembra essere cambiata: le manifestazioni di piazza e le proteste hanno lasciato il posto ad azioni più mirate, ad esempio contro progetti o aziende specifiche. È così?
«Il movimento globale per il clima sta decisamente cambiando. Dobbiamo farlo: diventeremmo troppo noiosi se ci limitassimo alle tattiche sicure e conosciute, giusto? Quando la gente pensa al movimento giovanile per il clima, vede le immagini delle storiche mobilitazioni di massa del 2018 o del 2019. È stato un momento incredibile per il movimento e un momento di enorme cambiamento all’interno delle società di tutto il mondo. Ma poi, quando tutti siamo stati colpiti dalla pandemia da Covid-19, anche il movimento ha subito un duro colpo. Il nostro strumento più prezioso – la protesta nelle strade – ci è stato portato via. Quella crisi ci ha spinto a cambiare molto. Abbiamo iniziato una conversazione molto più ampia all’interno del movimento sulla differenza tra il Sud e il Nord del mondo quando si tratta di crisi climatiche. Inoltre, da quel momento cerchiamo di analizzare con maggiore attenzione la situazione politica e di individuare i punti in cui possiamo avere un impatto maggiore. A volte confrontarsi con un politico o fermare un progetto sui combustibili fossili può essere altrettanto potente ed efficace che mobilitare migliaia di persone nelle strade. E credo che, analizzando più da vicino la politica e vedendo i diversi legami tra chi è al potere e la lobby dei combustibili fossili, siamo diventati più intelligenti. Ora non c’è politico che possa sfuggirci: sappiamo come fare pressione sui cattivi nel modo più forte possibile».
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