Il mistero sull’accordo tra Cremlino e il capo di Wagner, il segnale dietro il tentato golpe: cosa rischia davvero Putin
Quale sarà il destino di Vladimir Putin dopo la minaccia rientrata a 200 km da Mosca di Yevgeny Prigozhin è l’interrogativo crescente, dopo che il capo della brigata Wagner ha di fatto costretto il Cremlino a un accordo con la mediazione del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko. Il caos in cui è piombata la Russia per oltre 24 ore, secondo Kiev è il segnale della debolezza di Putin, con la ferma convinzione di Mykhailo Podolyak, braccio destro di Volodymyr Zelensky, che niente sarà più come prima ora in Russia: «Putin non sarà più la persona che era fino a ieri – ha detto a Repubblica – La federazione potrà attraversare una fase di transizione, ma politicamente non esisterà più in questa forma. E Putin, come attore chiave, se ne andrà». Lo stesso Podolyak deve ammettere che l’obbiettivo principale di Prigozhin sarebbe stato innanzitutto la sostituzione di alcuni personaggi chiave nella gerarchia militare russa. Dal ministro della difesa Shoigu al comandante in capo Gerasimov, sono loro le figure finora sempre messe sotto accusa dal capo del gruppo Wagner. E da più parti non si esclude che, nell’accordo ottenuto da Prigozhin in cambio dello stop «per evitare un bagno di sangue» e il suo esilio in Bielorussia, ci sia stato da parte di Putin il via libera a un rinnovamento dei vertici militari russi. Ipotesi finora stemperata dal Cremlino, ma che solo i prossimi sviluppi potranno realmente smentire o confermare.
Per quanto Putin abbia dovuto riconoscere la minaccia nel suo durissimo discorso alla nazione, il rischio è di interpretare il tentativo di golpe di Prigozhin con la speranza forte in Occidente di «liberarsi per vie interne di Putin», scrive Marco Imarisio nel suo editoriale sul Corriere della Sera, e di vedere la vittoria di Kiev sfruttando la debolezza interna russa. Sarebbe un errore grossolano secondo Imarisio, che ricorda come Prigozhin resti comunque un ultranazionalista, distante anni luce dalle posizioni pacifiste presenti soprattuto in Occidente, per quanto idealmente vicine a Mosca. Se c’è un obiettivo indubbiamente raggiunto da Prigozhin, continua Imarisio, è certamente quello di aver dimostrato che il potere di Putin non è più monolitico, come ha cercato di rappresentarlo la propaganda russa nel corso degli anni. Ciclicamente le intelligence occidentali raccontano di malumori tra gli oligarchi un tempo vicinissimi a Putin. Malumori che potrebbero ulteriormente fornire terreno fertile per un cambio a Mosca, magari non proprio una rivoluzione, ma più probabilmente un nuovo equilibrio a cui Putin dovrà piegarsi.
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