Massimo Polidoro: «Ecco i meccanismi mentali dei gruppi cospirazionisti» – L’intervista
Da quando esiste il progetto Open Fact-checking ci siamo quotidianamente imbattuti in un problema costante: il rifiuto della realtà da parte di un certo tipo di utenti, che rafforzano le proprie convinzioni facendo gruppo, evitando di ascoltare ogni tipo di argomentazione ed evidenza che mettesse in discussione il mondo fittizio che si sono costruiti, fatto di complotti e presunte soluzioni facili a problemi che invece richiederebbero approcci più complessi. Massimo Polidoro, che oltre a essere il segretario del Comitato italiano per il controllo sulle affermazioni pseudoscientifiche (CICAP) da qualche decennio si occupa di studiare questi fenomeni, spiega a Open quali sono i meccanismi psicologici ed evolutivi che hanno reso tutti noi predisposti a cadere nella pseudoscienza e nelle effimere promesse dei venditori di fumo che spopolano nel Web, temi che vengono approfonditi nel suo ultimo libro “La scienza dell’incredibile“.
Il settarismo online
Avvenimenti tragici come il suicidio di massa avvenuto a Jonestown nel 1978 da parte della setta controllata dal reverendo Jim Jones sembrano emblematici di un aspetto prettamente settario dei gruppi complottisti in generale, come i ViVi o QAnon, due gruppi attivi nel Web di cui ci siamo occupati spesso nelle nostre analisi.
«Non sono prettamente un esperto di sette – spiega Polidoro -, nel mio libro cito l’esperienza di Jonestown perché mi interessano i meccanismi mentali che si generano in quelle situazioni. Di sicuro nei gruppi cospirazionisti online entrano in gioco meccanismi simili».
Potremmo definirli dei meccanismi settari?
«Be’ alla fine si crea l’idea del gruppo secondo la quale “noi abbiamo visto la luce, sappiamo qual è la verità, chi non è dalla nostra parte evidentemente è un nemico”. Scompaiono i punti di vista diversi e la possibilità di dubitare. Si crea quindi un modo di pensare che sembra quello di una setta: dogmatico; che respinge ogni possibilità di dialogo».
Sarebbe bello se esistessero – come per le sette – degli appositi psicologi “riprogrammatori”.
«È difficile cambiare idea in queste situazioni. Far parte di un determinato gruppo ti dà quel che non trovi da altre parti. Trovi persone che ti fanno sentire speciale, perché anche tu “hai visto quei collegamenti; hai capito che c’è sotto qualcosa”; magari a casa invece ti danno del fesso perché credi a queste cose».
Dando un’occhiata al modus operandi sembra che stiano vivendo dentro un gioco di ruolo.
«Sì, c’è molto del gioco di ruolo. E non ci si rende conto poi delle implicazioni reali».
Creare il nemico
Fare gruppo è un aspetto importante della nostra esistenza. Noi ci siamo evoluti in modo sociale. Facciamo gruppo per difenderci dalle minacce esterne. Anche a costo di crearle noi quelle minacce. È questo che vediamo quando si parla di esitanza vaccinale? Quando persino dei medici ci mettono in guardia dai «sieri sperimentali»?
«Nel mio libro ne parlo quando vado a cercare le radici biologiche di tutto questo – continua Polidoro -. Per esempio cito lo studio dei ricercatori di Amsterdam Jan-Willem van Prooijen e Mark van Vugt che vedono come i nostri antenati in qualche modo avessero già una mentalità complottista. Questo perché se tu sei portato a sospettare sempre che gli altri stiano pianificando qualcosa contro di te, che stiano per attaccarti, e metti in atto delle azioni per difenderti – o addirittura attacchi tu per primo -, hai più speranze di salvarti. Magari 99 volte su 100 l’altra tribù non aveva nessuna cattiva intenzione; ma se l’unica volta che ha davvero intenzioni ostili tu pensi ingenuamente che sia pacifica, ti attaccano e ti distruggono il gruppo».
L’ingenuità difficilmente viene trasmessa ai discendenti.
«Quindi questo sospetto generalizzato ce lo abbiamo ancora dentro».
Complottismo ed evoluzionismo
Nel loro studio van Prooijen e van Vugt vanno proprio a vedere come nelle teorie del complotto emergono aspetti peculiari, per esempio il tentativo di dedurre le intenzioni malevole dei gruppi rivali. Il cospirazionismo si trova a tutti i livelli, persino nella vita quotidiana e in ufficio: sul lavoro per esempio, i sottoposti spesso teorizzano complotti da parte dei superiori. I ricercatori olandesi danno anche un’occhiata agli studi svolti nelle tribù che vivono ancora in condizioni simili a quelle dei primi Sapiens. Anche lì nascono delle teorie del complotto a proposito dei gruppi rivali.
«Certo – conferma Polidoro -. È la natura umana. Alla fine pensare che “noi” siamo più furbi e più svegli e non ci caschiamo è un po’ consolatorio. Magari abbiamo avuto l’occasione di vedere più a fondo le cose, sviluppando una mentalità più critica e altri non l’hanno avuta. È il discorso che fa Rob Brotherton nel suo libro Menti sospettose: non illudiamoci di essere più in gamba di chi crede a queste stupidaggini».
Magari siamo stati solo più fortunati.
«Ma tutti noi in un modo o nell’altro abbiamo questa tendenza innata – continua Polidoro -, che se ne infischia di quelle che sono le nostre conoscenze e consapevolezze. Di tutto questo parlo più volte nel mio libro. Anche per quanto riguarda l’interpretazione soprannaturale degli eventi: il vedere dei segni in quel che ci capita attorno. Noi sappiamo benissimo che le piante non ci stanno segnalando qualcosa; che la stella cadente non vuol dirci niente; ma in automatico ci viene da pensarlo. Quindi alcune persone poi vanno avanti su quella spinta automatica: “ecco vedi, allora è tutto connesso; io sono parte di… allora sta parlando con me”».
Una cosa che forse andrebbe approfondita negli studi sulla mentalità complottista è se per caso esiste una differenza tra l’atto di produrre la teoria del complotto (più o meno consapevole della sua infondatezza) e il mero crederci, anche solo perché se ne ha bisogno, in quanto si sente di vivere in una realtà ostile.
«Sì, probabilmente una differenza c’è – spiega Polidoro -. Poi quel che vediamo molto spesso è che chi inizia a produrre queste teorie si rende conto che questa attività in qualche modo è ricompensata, perché le persone ti trasformano in un punto di riferimento, una sorta di guru. Allora ti senti ancora più speciale».
Come evitare lo scontro
Il rifiuto di ascoltare e la paura del cambiamento a volte può portare a compiere gesti violenti. Noi ci siamo occupati spesso degli atti vandalici commessi dalla già citata setta dei ViVi per esempio. Ma noi nella quotidianità che precauzioni possiamo prendere per evitare che una discussione degeneri?
«Questa situazione la respiri quotidianamente nei commenti sui Social – continua Polidoro -. Tutti i giorni c’è qualcuno che ti dà nei casi più leggeri del superficiale; altrimenti ti dicono “Lei la verità la conosce ma ha paura di diffonderla”; oppure “La pagano per nasconderla”. Insomma, il mio lavoro sarebbe quello di seppellire le verità scomode: ma ti rendi conto? Chi, come me, è affascinato da tutto ciò che è ancora misterioso nel nostro universo va alla ricerca di fatti “scomodi”, perché ci permetterebbero di ampliare le nostre conoscenze. O davvero si può pensare che avrei dedicato più di trent’anni della mia vita a occuparmi a fondo di questi problemi solo per scartare sistematicamente tutto ciò che sarebbe “scomodo”, tappandomi le orecchi e gli occhi di fronte all’evidenza e montando costruzioni completamente orientate a dimostrare io contrario di quello che ho visto?».
Sono attacchi che avvengono anche nella vita reale?
«Dal vivo durante le conferenze è raro che succeda – per lo meno adesso -, i primi tempi quando ho iniziato era più facile che succedesse. Per queste persone è talmente assodato che questi complotti siano reali, che quando sentono una persona metterli in discussione per loro è inconcepibile. C’è da dire che comunque io non do mai spazio, non sto mai a rispondere agli insulti; a meno che non si faccia una critica nel merito dell’argomento trattato, magari indicando delle fonti».
Pro e contro delle emozioni
Conta anche la gestione delle emozioni. L’empatia invece può essere un problema. A noi serve perché ci permette di elaborare teorie su cosa stia pensando il prossimo, prevedendo eventuali atti ostili, ma alla lunga finisce per essere una delle armi con cui “ci fregano”. Come si spiega?
«Le emozioni sono importanti, ma se ti lasci trascinare da esse perdi la possibilità di capire realmente le cose – spiega Polidoro -. Poi come spiego nel mio libro, non si può essere nemmeno perfettamente razionali come delle fredde macchine; senza emozioni non è possibile nemmeno prendere decisioni perché resteremmo bloccati! Le emozioni ci permettono di attingere alle esperienze precedenti e di orientare le nostre decisioni».
D’altro canto quando si sentono dei ragionamenti complottisti, spesso sono conditi dal cinismo.
«Perché è vero che nella Storia sono state insabbiate delle verità scomode. Però credere che sia sempre tutto così – avere questa visione cinica del Mondo -, non ti porta certo a migliorarlo o a migliorare te stesso, lasciandoti isolato attorno alle cose che rafforzano le tue convinzioni. Così vivi male tu e chi ti sta intorno, ma non cambi nulla di ciò che nel mondo funziona male per davvero».
Il ragionamento motivato
Quando si mette di mezzo l’ideologia abbiamo la possibilità di manipolare intere masse o gruppi organizzati.
«Sì c’è questa convinzione di essere gli unici depositari della verità – continua Polidoro -. Senza capire che il Mondo non è più quello di Galileo, dove il singolo scienziato fa la scoperta clamorosa. Però è potente come sensazione, ti senti dotato di capacità che altri non hanno».
Esiste un concetto che può spiegare tutto questo: il «ragionamento motivato». Nel tuo libro citi diversi casi storici, come quello di Trofim Lysenko le cui idee biologiche appoggiate dal regime sovietico su come incrementare la produttività delle coltivazioni, portarono invece a un disastro. Che analogie ci sono tra la scienza dei regimi come quello sovietico e quella dei gruppi ideologizzati attuali?
«Lysenko è un esempio di cosa succede quando veramente degli scienziati sono “pagati dai poteri forti” – spiega Polidoro -, con conseguenze che poi si rivelano catastrofiche. Quando vuoi piegare la realtà dei fatti alla tua rappresentazione ideologica, magari può funzionare per un po’ di tempo, perché hai il potere di nascondere gli insuccessi, ma alla lunga viene fuori».
Ed è anche l’esempio di come le grandi cospirazioni se esistono vengono sempre fuori, specialmente se coinvolgono migliaia di persone». Alla fine come nel caso di QAnon, si finisce per fare le stesse cose che si attribuiscono al “nemico”, pensiamo all’assalto al Congresso degli Stati Uniti.
«Perché quando finisci per sospettare di tutto e di tutti, per difenderti diventi quello di cui hai paura. Come succedeva anche in passato – fin dalla preistoria -, temendo di essere vittime si finisce per diventare carnefici».
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