Ue, Polonia e Ungheria di traverso sui migranti: salta l’accordo sulle conclusioni del vertice. Meloni: «Difendono i loro interessi nazionali» – Il video
Fumata nera al Consiglio europeo: almeno per quanto riguarda la questione dell’immigrazione. Al termine del vertice, i 27 capi di Stato e di governo hanno infatti adottato un lungo documento politico, le tradizionali Conclusioni. Ma non ha potuto rientrarvi la parte prevista di sostegno al nuovo Patto su immigrazione e asilo siglato dai ministri dell’Interno dei 27 lo scorso 8 giugno. «Resta sostenuto da 25 Stati su 27», ha dichiarato Charles Michel nel corso della conferenza stampa al termine dell’incontro. Un sostegno forte, ma non sufficiente a dare il «timbro politico» del sostengo del Consiglio europeo. Resta infatti intatta l’opposizione di Polonia e Ungheria al punto decisivo del testo approvato dai ministri (a maggioranza) a inizio giugno: il meccanismo automatico per il quale tutti gli Stati membri dovrebbero scegliere se ricollocare sul proprio territorio una parte dei migranti giunti in Europa da un altro paese di primo ingresso oppure dare un contributo finanziario di 20.000 euro per migrante non ricollocato ad un fondo europeo ad hoc. L’ex premier belga non ha potuto che prenderne atto e riconoscere l’ostacolo frapposto nella due giorni da Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki all’interno di un testo a parte, le «conclusioni del presidente del Consiglio europeo sulla dimensione esterna della migrazione».
Le conclusioni amare di Michel
Nel documento ad hoc si legge che nel corso del vertice dei 27 «si è preso atto del fatto che la Polonia e l’Ungheria hanno dichiarato che, nel contesto dei lavori in corso relativamente al patto sulla migrazione e l’asilo, in linea con le precedenti conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2016, del giugno 2018 e del giugno 2019, è necessario pervenire a un consenso su una politica efficace in materia di migrazione e asilo, che nel contesto delle misure di solidarietà la ricollocazione e il reinsediamento dovrebbero effettuarsi su base volontaria e che tutte le forme di solidarietà dovrebbero essere ritenute parimenti valide e non agire da potenziale fattore di attrazione per la migrazione irregolare». Polonia e Ungheria, insomma, rifiutano il principio per cui la redistribuzione possa essere imposta come vincolante. In conferenza stampa, Michel ha comunque evidenziato che da parte degli Stati membri c’è stato un forte segnale di unione, già anticipato dalla presenza di Meloni, Rutte e von der Leyen in Tunisia «che aveva l’obiettivo di ampliare il discorso della cooperazione e della riduzione dei flussi migratori dall’origine».
Meloni fa buon viso a cattivo gioco
La presidente del Consiglio italiana in merito ai no di Polonia e Ungheria ha detto a vertice terminato di aver tentato una mediazione fino all’ultimo, ma ha detto di comprendere la decisione dei due Stati «perché hanno difeso i loro interessi nazionali». In un punto stampa, Meloni, ha dichiarato che «la loro posizione non riguarda la dimensione esterna che è la priorità italiana ed è l’unico modo per affrontare la migrazione mettendo d’accordo tutti». A suo dire, il lavoro in corso la Tunisia «può diventare un modello per il Nord Africa». E il ruolo che sta giocando l’Italia è quello di «protagonista». Dalla Germania, invece, si ridimensiona la portata del veto sulle conclusioni posto da Polonia e Ungheria. «Fa parte del processo decisionale Ue – ha commentato cauto il cancelliere Olaf Scholz, indicando ai partner la direzione di marcia – È importante che le trattative tra i Paesi Ue sul Patto sull’asilo e la migrazione non si fermino e anzi si concludano rapidamente prima delle Europee».
I rapporti con la Cina e i nuovi rifornimenti all’Ucraina
Per quanto riguarda invece i rapporti con la Cina, Michel ha evidenziato che «la cosa fondamentale è lavorare tutti insieme per esprimere una posizione univoca. Oltre a dover riequilibrare i rapporti economici con la Cina e a difendere gli approvvigionamenti. La reciprocità deve essere la parola chiave». Ursula von der Leyen, a seguito della ribellione del gruppo Wagner in Russia, ritiene che sia necessario «raddoppiare» il sostegno all’Ucraina. «A livello militare abbiamo stanziato 2 miliardi di euro per l’acquisto di munizioni a Kiev. A breve avremo formato altri 13 mila soldati ucraini e, sul versante finanziario, oltre 500 giorni dopo la guerra abbiamo mobilitato 70 miliardi di euro a favore dell’Ucraina», ha spiegato in conferenza stampa al termine del vertice.
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