Mediobanca-Generali: la scalata della famiglia Del Vecchio al Leone di Trieste con un occhio a Piazzetta Cuccia
Venerdì 30 giugno l’Ivass, l’istituto che vigila sulle assicurazioni, ha autorizzato la Delfin della famiglia Del Vecchio a salire al di sopra del 10% di Generali. La richiesta era stata presentata il 17 aprile scorso. Dopo che Francesco Milleri aveva chiesto alla vigilanza di salire sopra la soglia. Questo vuol dire che a poco più di un anno dallo scontro si riapre la partita Mediobanca-Generali. All’epoca Del Vecchio insieme a Francesco Gaetano Caltagirone, alla famiglia Benetton e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino avevano sfidato la lista promossa e sostenuta in consiglio di amministrazione da Piazzetta Cuccia. E aveva perso, raccogliendo il 30% del capitale. Adesso si gioca il secondo round. E, spiega Repubblica, se Delfin decidesse di aumentare la sua partecipazione fino al 20%, gli equilibri potrebbero ribaltarsi.
L’Ivass e il colosso delle assicurazioni
Dopo la decisione dell’Ivass il primo appuntamento decisivo è a ottobre. Ovvero quando andrà in scena l’assemblea di Mediobanca. Piazzetta Cuccia controlla il 13% del Leone di Trieste. Il patron Leonardo Del Vecchio aveva cominciato a scalare la banca d’affari. Issando così una bandiera italiana nell’azionariato che stava perdendo pezzi. Ma secondo Consob il 20% di Delfin non può trasformarsi in una quota di controllo. Perché una banca può essere controllata soltanto da un soggetto su cui Banca d’Italia esercita la vigilanza. E nessun gruppo singolo può controllare la maggioranza dei voti della lista vincente in assemblea. Ma intanto Caltagirone è salito sopra il 10%. E alcuni rumor dicono che anche i Benetton si sono appropriati del 5% di azioni Mediobanca. Altri imprenditori come Danilo Iervolino si starebbero muovendo. Insieme il gruppo di soci potrebbe assommare quel 40% che lo porrebbe in sfida diretta con Piazzetta Cuccia.
Il fattore Nagel
Ma c’è il fattore Alberto Nagel da calcolare. L’amministratore delegato di Mediobanca ha già dimostrato di avere dalla sua il mercato. Grazie alla distribuzione di sostanziosi dividendi. Mentre per muoversi contro di lui, ragiona il quotidiano, eventuali scalatori dovranno convincere un’istituzione finanziaria a diventare capofila della cordata. Per raccogliere prima il consenso dei regolatori e poi, eventualmente, quello dell’assemblea. Una via più semplice è scalare direttamente Generali. Se Delfin salisse fino al 20% (ci vorrebbero però 2,8 miliardi di euro) potrebbero cambiare gli equilibri. La terza via è agire per legge. Si tratta di proposte caldeggiate da Caltagirone. Che però dovrebbero trovare sponda nel governo Meloni.
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