Il governo chiede aiuto a Open Arms per salvare i migranti: è l’ong che mandò Salvini a processo
Se l’azione legislativa sembrava tesa ad altro, cioè rendere meno copiose le operazioni di salvataggio da parte delle navi ong – dopo ogni singolo intervento, recarsi nel porto indicato dalle autorità, anche se la piena capienza a bordo non è stata raggiunta, effettuando l’approdo anche in località molto distanti dalla zona di recupero – i fatti degli ultimi giorni mostrano un’altra realtà. Durante il governo Meloni, le organizzazioni non governative sono tornate a salvare più migranti. Con il paradosso che Open Arms, la stessa che ha mandato Matteo Salvini a processo, è diventata un’indispensabile alleata della Guardia costiera. Succede lo scorso 6 luglio: alla ong viene chiesto di effettuare ben sei operazioni di salvataggio, in coordinamento con il Comando generale delle capitanerie di porto di Roma. E non è un caso isolato.
«Una situazione di normalità»
«Una situazione di normalità», la descrive al Foglio Veronica Alfonsi, portavoce dell’ong spagnola. Una normalità che, pensando al decreto Cutro e all’annunciata «caccia ai trafficanti su tutto il globo terracqueo», crea dei cortocircuiti logici con la sbandierata politica dei porti chiusi e la tolleranza zero verso le ong. «I taxi del mare», venivano definite da membri di questo governo. Con buona pace dell’assioma post Cutro, «una missione, un salvataggio», il 6 luglio scorso la nave di Open Arms ha recuperato prima 110 migranti nella zona sar maltese, poi altri 14 alla deriva dopo essere salpati dalla Tunisia. Operazioni coordinate e autorizzate da Roma.
La richiesta
Nonostante il numero di persone a bordo superasse il centinaio, è arrivata un’altra richiesta dalle autorità italiane: «Ci hanno chiamato e ci hanno dato le coordinate dove erano state localizzate altre sei barche sovraccariche di migranti. Una volta arrivati sul posto, abbiamo chiesto all’Italia come muoverci e ci hanno detto di soccorrere quante più persone possibile, senza superare il limite massimo della nostra capacità di bordo, pari a 300», spiega la portavoce. In totale, altri 175 naufraghi salvati tra cui 90 minori. «Roma ci ha anche chiesto di restare a presidiare le altre persone in difficoltà, in attesa dell’arrivo delle motovedette della Guardia costiera. Cosa che abbiamo fatto in attesa che ci assegnassero il porto di Brindisi per lo sbarco».
La pressione migratoria
Sarebbe la stessa pressione migratoria, con particolare rilievo il flusso che si muove dalla Tunisia, a rendere inapplicabile parte del decreto Cutro. Tra l’altro, a poca distanza dai salvataggi multipli di Open Arms, altre 700 persone sono state recuperate grazie a più operazioni in serie compiute da altre ong: quattro soccorsi di fila per la Geo Barents, cinque per Humanity, in piena deroga rispetto alle disposizioni dello stesso governo. Alfonsi, sempre nel colloquio con il Foglio, definisce «paradossale il fatto che Salvini sia in un governo che ci chiede aiuto per fare salvataggi.
Il processo a Salvini
Ma in fondo lo è l’intera storia dei salvataggi in mare degli ultimi sette anni». Il leader della Lega è a processo nell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo, per il reato di omissione di atti d’ufficio e sequestro di persona: Open Arms è parte lesa nell’inchiesta che lo vede accusato di aver negato lo sbarco a Lampedusa di 149 migranti, quando era a capo del Viminale. Quei migranti erano a bordo di Open Arms, la ong alla quale oggi la Guardia costiera chiede di salvare quanti più migranti possibile. Qual è il ministero da cui dipende il Corpo delle capitanerie di porto? Quello delle Infrastrutture, guidato proprio da Salvini.
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