Carol Maltesi, il giudice della sentenza dopo il mancato ergastolo all’omicida: «I motivi futili o abietti non ci sono, ecco perché»
La procura ha chiesto l’ergastolo per Davide Fontana in relazione all’omicidio di Carol Maltesi. Ma il tribunale ha deciso diversamente: 30 anni di carcere. Perché i giudici non hanno riconosciuto i futili e abietti motivi. La decisione ha suscitato ovviamente polemiche. Ma Giuseppe Fazio, presidente della Corte d’Assise di Busto Arsizio, che ha scritto la sentenza insieme alla giudice a latere e ai sei popolari (tra cui tre donne) si difende. In un’intervista al Corriere della Sera Fazio spiega che si sente come un pediatra ai tempi di Erode: «Sono convinto di non aver mancato di rispetto a nessuno. E non sarebbe stato diverso se la ragazza avesse fatto la suora anziché l’attrice. Se non si capisce ciò che abbiamo scritto, è senz’altro un problema mio. Ma anche chi legittimamente critica le motivazioni dovrebbe prima leggerle nella loro concatenazione su concetti giuridici che hanno significato diverso rispetto alla Treccani».
I motivi futili o abietti
Fazio spiega che l’aggravante dei futili e abietti motivi «esiste se è espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato e mero pretesto per sfogare un impulso criminale. E la giurisprudenza richiede sia il dato oggettivo. E cioè la sproporzione tra reato e motivo, sia la componente soggettiva, che non può essere riferita ad un comportamento medio. Ecco, qui l’opinione anche del perito e dei consulenti psichiatri, che hanno studiato il funzionamento mentale dell’imputato, è stata che probabilmente a spingerlo ad uccidere non fu la gelosia adombrata dal pm, ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dalla frustrazione per essere stato messo da parte da lei». Secondo il giudice questo prova che il motivo dell’omicidio non è abietto o futili. Di qui la sentenza.
La crudeltà
Per l’aggravante della crudeltà, invece, Fazio spiega che non si tratta della quota di violenza inserita in un delitto. «Per la giurisprudenza deve essere l’infliggere un male gratuitamente. E qui per noi non c’era. Non si può fare l’errore di desumere l’aggravante dallo scempio del cadavere». In più, l’imputato ha collaborato: «Consentendo di acquisire gli atti d’indagine ha fatto oggettivamente risparmiare tempo al processo». Nel colloquio con Luigi Ferrarella Fazio ci tiene anche a chiarire un punto: «Non è che ogni processo per un grave delitto debba finire con un ergastolo. Qui abbiano fissato la pena base nel massimo dell’omicidio semplice, 24 anni. E aggiunto il massimo della pena per lo scempio del cadavere, 7 anni più 3 di continuazione. Fanno 34 anni, ma il tetto massimo di legge è 30. Però faccia fare a me ora una domanda: con quale spirito tra pochi giorni la mia Corte d’Assise affronterà un altro processo per un fatto altrettanto cruento? Il giudice non è qui apposta per valutare le circostanze? Se no, ci dicano che possono fare a meno del giudice. E, al suo posto, metterci un juke-box».
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