D’Amato lascia il Pd e aderisce ad Azione. Calenda: «Presto ci saranno altri arrivi»
Il percorso sulla strada del dissenso interno, alla fine, è terminato con il più prevedibile degli epiloghi. Alessio D’Amato, dopo essersi dimesso dall’assemblea nazionale del Partito democratico, ha deciso di passare in Azione. Il casus belli, lo scorso giugno, fu la partecipazione di Elly Schlein alla manifestazione del Movimento 5 stelle, quella in cui sul palco si alternò un discorso di Beppe Grillo sulle «brigate» di cittadinanza con il «passamontagna» e l’intervento anti atlantista di Moni Ovadia. Il consigliere regionale del Lazio, ed ex candidato a governatore della Regione Lazio, oltre a dimettersi dall’organo interno, non escluse la possibilità di lasciare definitivamente il Pd: «Dipenderà dall’evoluzione della discussione nei prossimi giorni». Oggi, 17 luglio, è arrivato quell’addio preannunciato: «La mia è una scelta meditata, ponderata e anche dolorosa, fatta dopo un’impegnativa campagna elettorale per le regionali. Per me è chiaro che l’avversario politico è la destra sovranista al governo del Paese e bisogna costruire a partire dai territori una proposta alternativa. Come ricorderete, ho criticato la posizione quasi subalterna da parte del Pd rispetto al M5s. Da allora non ho ricevuto risposte dalla segreteria nazionale del partito, che evidentemente non ha ritenuto la mia critica degna di nota».
L’ex assessore alla Sanità durante l’emergenza Covid ha tenuto una conferenza stampa in Senato insieme a Carlo Calenda, il capogruppo di Azione alla Camera, Matteo Richetti, e la portavoce e vicesegretaria del partito, Mariastella Gelmini. «Siamo felici di dare il benvenuto in Azione a D’Amato», ha esordito il leader del partito. «Alessio è un esempio di buona amministrazione oltre che l’autore della migliore campagna vaccinale mai fatta in Italia». Per le recenti elezioni regionali del Lazio, Calenda aveva anticipato il Pd nel proporre l’ex assessore come candidato alla presidenza. Il Nazareno, allora, si vide costretto a inseguire la scelta di Azione e a supportarlo. Ma si trattava di un’altra era per i Dem: non si erano ancora celebrate le primarie che avrebbero decretato la sconfitta dei riformisti pro Stefano Bonaccini. Da quel momento, il Pd ha iniziato a perdere una serie di esponenti che non si rispecchiavano nella linea Schlein. «Oggi è tutto schiacciato da un bipolarismo tra destra estrema e sinistra massimalista e così questo Paese non si può governare. A questo tavolo ci sono persone con identità diverse, noi vogliamo superare questo schema nel solco di quello che è stato il governo Draghi», ha proseguito Calenda.
«Se il governo Meloni presenta una cosa buona, utile al Paese la votiamo, se riteniamo che ci sia un problemi di salari colpiti dall’inflazione proponiamo un salario minimo legale e lo facciamo con le opposizioni. Il diritto al lavoro, alla sanità e all’istruzione sono oggi in grandissima sofferenza». Il segretario di Azione ha detto che il suo partito punta a richiamare l’interesse dell’elettorato «popolare, riformista, repubblicano e cattolico». Poi, sollecitato dai giornalisti, ha fatto intendere che potrebbero esserci «presto altri arrivi, ma non è campagna acquisti». Dal suo canto, D’Amato, nell’approfondire la scelta di lasciare il Nazareno, ha denunciato di non aver ricevuto risposte dalla segreteria di Schlein. E ha concluso: «Ho chiesto di aderire ad Azione per dare il mio contributo a rafforzare il fronte riformista. Oggi più che mai avverto l’esigenza di usare un linguaggio chiaro. È grave che, dopo la più grande emergenza sanitaria di questo secolo, questo governo non stia investendo un euro in più nel sistema sanitario nazionale. È grave non aver accettato la proposta di usare i fondi del Mes per rafforzarlo. La transizione ecologica non può essere pagata dai ceti popolari. Non basta dichiararsi a favore della transizione, ma bisogna dire chi la pagherà».