Jo Squillo ha una figlia “elettiva”: «Lei ha una mamma, io sono la sua diversamente madre»
La cantautrice e conduttrice Jo Squillo si sente un’«ar-tivista». Perché vuole «portare un po’ di impegno proprio dove la gente si aspetta di trovare la leggerezza. Al Grande Fratello ho indossato il burqa per ricordare la situazione delle donne in Afghanistan». Oggi in un’intervista al Corriere della Sera riepiloga la sua carriera all’insegna del femminismo e dell’ecologismo: «Sono nata in un contesto fertile: papà era un rappresentante della Candy e nel privato un artista. Ha inventato i modellini degli aeroplani e costruiva le pipe da fumo». È milanese da sette generazioni: «Mi chiamo Giovanna Maria Coletti e sono una delle ultime milanesi doc, nella nostra casa in Città Studi parlavamo in milanese. Mia madre si è occupata di me e mia sorella gemella fino a quando non siamo cresciute, poi ha cominciato a fare la rappresentante di filati».
La cultura punk
Ha anche una sorella gemella: «Ho il naso rotto, una cicatrice, due punti in testa, ma ci volevamo un casino di bene! Eravamo dislessiche: ho scelto l’artistico, lei fotografia. Al corso di scenografia ho capito che non volevo costruire palcoscenici, ma starci sopra». Nel colloquio con Michela Proietti dice di aver «iniziato a frequentare il centro sociale Santa Marta. Era la fine degli anni ’70 avevo le chitarre a casa, ho cominciato a scrivere canzoni, la mia prima era “sono cattiva, se la sera mi gira prendo il coltello e ti stravolgo il cervello”». Era il periodo della cultura punk: «Avevo la cresta verde, già il green era nella mia testa. Scrivere quelle canzoni era un modo per parlare con la gente. Sono stata una delle prime donne che scrivevano per sé stesse, in quegli anni erano gli uomini che scrivevano per le donne». Ma una delle canzoni che l’ha stimolata di più «è stata Violentami. Una ragazza era stata violentata in metropolitana e la gente diceva che se l’era cercata. Ho voluto ribaltare la visione: noi ragazze non dovevamo essere più né vittime, né colpevoli. Ho pensato:“ah sì? Bene sono io che ti dico di violentarmi, ho ribaltato la logica”».
La Kandeggina Gang
Jo Squillo dice che il suo maestro era Demetrio Stratos, cantante degli Area. La sua band era la Kandeggina Gang «perché quando arrivavamo eravamo nocive e sbiancanti come la candeggina». Per lei essere femminista significava «La libertà. Avevo sperimentato il maschilismo, la sera non potevo uscire perché femmina, invece io lo facevo. Sembra passato un secolo ma non è lontano il tempo in cui non si poteva rifiutare di fare sesso con il proprio marito». Poi l’incontro con Sabrina Salerno: «Sabrina non aveva mai cantato in italiano: era famosa in tutto il mondo, una icona pop straordinaria. All’inizio avevo pensato a un progetto di tante donne: una scrittrice, una danzatrice. Poi quando ho incontrato Sabrina ho pensato: io e lei già siamo un mondo». Dice che Salerno «per seguirmi ha accettato di cambiare il suo produttore, che era prototipo di un certo tipo di femminilità e voleva cambiassimo il testo. Dovevamo andare in giro con 10 guardie del corpo».
La figlia elettiva
Jo Squillo dice anche di avere una figlia «elettiva»: «Lei ha una madre, io sono la sua diversamente madre. Quando ho perso i genitori questa ragazza bellissima è entrata nella mia vita. E me l’ha restituita». Lei «faceva la modella, si alzava all’alba per prendere quattro soldi e avere la possibilità di sfilare. Ero affascinata da questa ragazza che “si sbatteva”. I miei genitori avrebbero sempre voluto una nipote. Me l’hanno mandata loro». Hanno deciso di essere madre e figlia «un giorno che non c’era posto in ostello e si è fermata a dormire da me. E non se n’è mai più andata. Una mattina in cucina mi ha detto, all’improvviso: “Mamma”. Mi sono messa a urlare, non doveva permettersi. Non ero pronta e sentivo di mancare di rispetto alla sua famiglia. Ma ha continuato imperterrita».
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