Zaki torna in Italia, l’occasione d’oro per smentire chi lo chiama “ingrato”. Padellaro: «Perché un grazie al governo è doveroso»
Una prima concreta occasione per smorzare le polemiche, Patrick Zaki potrebbe averla già questa sera, quando è prevista una conferenza stampa a Bologna dell’attivista graziato dal presidente egiziano Al Sisi dopo la condanna a tre anni dal tribunale di Mansura per reati di opinione. Dopo il rifiuto del volo di Stato offerto dal governo Meloni, l’attivista atterrerà a Milano Malpensa per le 17, dove lo accoglieranno il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, e la relatrice della sua tesi di master, Rita Monticelli. Da lì andrà a Bologna, dove potrà riabbracciare amici e colleghi che per anni hanno tenuto viva l’attenzione sul suo caso. A loro era andato uno dei primi ringraziamenti subito dopo aver ricevuto la notizia della grazia da parte di Al Sisi, mentre solo dopo era arrivato un “grazie” per forze politiche, governo, Parlamento, la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, il cui impegno per ottenere quella liberazione è innegabile. Ed è stato proprio quell’atteggiamento in apparenza distaccato con l’esecutivo italiano a scatenare chi a Zaki ha rapidamente dato dell’«ingrato». Il rischio però è di affrettarsi in giudizi da «partito preso», avverte Antonio Padellaro sul Fatto quotidiano, che si aspetta proprio dall’intervento pubblico di questa sera di Zaki a Bologna un chiarimento su quel no al volo di Stato da parte di Roma e a un incontro con premier e ministri italiani, e spiegare meglio la sua «libera scelta di coerenza con il suo ruolo di difensore dei diritti umani che per natura è indipendente dai governi», secondo quanto hanno provato a spiegare da Amnesty Italia in poi chi conosce bene l’attivista.
Certo anche una volta che Zaki avrà spiegato le sue ragioni dietro le scelte fatte, non dovrebbe avere alcun problema a «ribadire il suo grazie a tutti coloro (qualcuno di più) che si sono battuti per la sua liberazione ottenendola – continua Padellaro. Tenendo da parte lo scontro politico viziato dal «partito del partito preso», spiega l’editorialista sul Fatto, si può avere una sostanziale certezza che da parte dell’attivista egiziano potrebbe arrivare un ringraziamento chiaro e deciso. Di certo non come quello «sibilato dai partiti di opposizione quasi che il risultato conseguito dal governo di destra fosse considerato uno smacco, o se si vuole una sfortunata interferenza, su una materia, quella dei diritti umani, di cui la sinistra si ritiene unica depositaria». La stessa premier Giorgia Meloni al Tg1 ha ribadito la sua soddisfazione per la sua liberazione, «per noi era un obiettivo importante – ha spiegato – io sono molto contenta di averlo centrato e non mi aspetto per questo riconoscenza, non mi interessa». In fondo però, conclude Padellaro, si può pensare tutto il male possibile per quel che fa il governo in carica e la sua maggioranza, ma «se fa una cosa giusta, riconoscerlo chiaro e tondo senza imbarazzati silenzi o cupi sospetti non farebbe altro che accrescere credibilità e dunque il peso delle giuste critiche».
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