L’indagine su Renato Brunetta per falso e finanziamento illecito ai partiti
C’è un’indagine per finanziamento illecito ai partiti e falso nei confronti di Renato Brunetta. L’attuale presidente del Cnel è accusato dalla procura di Roma per qualcosa che è successo mentre era ministro della Funzione Pubblica del governo Draghi. All’epoca era socio insieme alla moglie del suo vice capo di gabinetto, di un’azienda che commercializza prodotti sanitari. Proprio il vice capo di gabinetto a un certo punto acquista le quote dell’azienda che appartengono a Brunetta. Per 60 mila euro. Ma secondo i carabinieri del nucleo investigativo di via In Selci si tratta di un’operazione sospetta. E la conferma arriverebbe dalla contraffazione di alcune carte.
L’inchiesta
Per questo, fa sapere oggi Repubblica, i magistrati contestano anche il falso a Brunetta. Mentre l’accusa di finanziamento illecito si deve anche confrontare con il fatto che l’allora ministro alla fine uscì da Forza Italia ma non si candidò alle elezioni, come invece fecero le sue “colleghe” di fuga dal partito di Berlusconi. Ovvero Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Ma all’inizio i magistrati avevano formulato l’accusa di corruzione. Ma il Tribunale dei Ministri ha bocciato la tesi. Perché dall’indagine non sono emersi favori reciproci. Per questo gli inquirenti hanno derubricato il reato in finanziamento illecito. Brunetta ha ricevuto l’avviso di conclusione indagini alcune settimane fa. Di solito in questi casi poi la procura chiede il rinvio a giudizio.
La richiesta di rinvio a giudizio
I pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo, sono pronti. Mentre l’avvocato di Brunetta Fausto Coppi depositerà una memoria per evitarlo. «È stata una vendita regolare», spiega Brunetta al quotidiano. «Conclusa con chi aveva il diritto di comprare, la compagna del vice capo di gabinetto vantava un diritto di prelazione. La vendita è stata conclusa a un prezzo congruo, i reati di corruzione e illecito finanziamento sono stati archiviati dal Tribunale dei ministri che ha sottolineato come l’intera vicenda sia, in realtà, un semplice rapporto tra privati». Ma la procura continua ad indagare. Ho presentato un’ampia memoria attraverso la quale confido di aver chiarito tutto, non credo sia un reato per un ministro vendere delle quote societarie anche perché con quei soldi non ho finanziato attività politiche o elettorali».