Terni, per il Viminale Bandecchi è incompatibile con la carica di sindaco. Lui ironizza: «Se si torna al voto voglio l’80%»
L’elezione a sindaco di Terni dell’imprenditore Stefano Bandecchi, avvenuta lo scorso 29 maggio, continua a creare polemiche. Certo, il suo stile comunicativo, che definire spregiudicato è un eufemismo, non aiuta. Poi ci sono state le inchieste giornalistiche che hanno riguardato le società a lui legate, prima tra tutte la Unicusano. Oggi, 3 agosto, la diatriba si è riaperta in seguito al parere emesso dal ministero dell’Interno: «Bandecchi è incompatibile con la carica di sindaco di Terni», sentenzia il Viminale. Le spiegazioni sono state inviate al prefetto del capoluogo umbro, il quale aveva chiesto un chiarimento sul ruolo del neosindaco nella squadra di calcio cittadina, la Ternana. «Nonostante le intervenute dimissioni da presidente della Università Unicusano e da presidente della società Ternana Calcio Spa – si legge nel parere – lo stesso Bandecchi risulta ancora titolare della carica di amministratore unico della società delle Scienze Umane Srl e della carica di socio unico e amministratore della Ping Pong Srl».
Per queste ragioni, prosegue la nota tecnica, «appare quindi evidente come il signor Bandecchi, pur avendo rinunciato a due delle cariche sociali direttamente incompatibili con la carica di sindaco, eserciti ancora oggi l’attività di impresa e, quindi, con interessi di lucro personale, intrattenendo per il tramite delle ultime due società una serie di rapporti, seppure indiretti, con il Comune di Terni di cui oggi ha ope legis la rappresentanza legale nella qualità di sindaco, riconducibili alla realizzazione del progetto del nuovo stadio». Il riferimento normativo per cui è stata stabilita l’incompatibilità va rintracciato nell’articolo 63, commi 1 e 2 del Testo unico degli enti locali e «nella legittima interpretazione estensiva operata dalla giurisprudenza». Bandecchi, dopo aver appreso del parere, respinge ogni accusa: «Nella peggiore delle ipotesi, se per caso qualcuno sollevasse la questione, il soggetto avrebbe dieci giorni di tempo per mettere a posto il suo problema. Ma il problema – ribadisce – non c’è». E sempre con un video sui social, farcito da una fragorosa risata, chiude la questione con ironia: «Male che vada si torna a votare. E voglio l’80%».
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