Marina Massironi e quella volta che a Giacomo finì una spada in testa: «Si è sentito lo “Sdong”»
«Io e Giacomo siamo stati sposati dall’86 al ’90 e io ho cominciato a lavorare con loro tre dopo che il nostro matrimonio era finito. Mi viene in mente a questo proposito che mentre si dice di una donna che è moglie di un comico, non si parla mai di marito di una comica». Marina Massironi risponde così oggi a La Stampa alla domanda se abbia mai avuto problemi a lavorare con Aldo, Giovanni e Giacomo nonostante il matrimonio fallito con Poretti. Oggi sta più in teatro che in tv «perché mancano proposte belle». E ricorda i tempi con la Gialappa’s Band a Mai dire gol. Ma anche le tante scene a cui ha assistito o di cui è stata protagonista in questi anni.
Il marito e il palcoscenico
Come quella volta che si trovò con il marito sul palcoscenico per una riduzione teatrale del Conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni: «Un testo serissimo che l’autore stesso definiva ‘poco rappresentabile’. Lì ho capito il confine sottile fra tragico e comico, con inconvenienti come la gente tirata su per sbaglio dal meccanismo che solleva le quinte dello spettacolo. Al Conte di Carmagnola capitava che si incastrasse la spada e una volta Giacomo se l’è presa in testa, si è sentito ‘sdong!’». Poi rivela: «Sono in pace con la comicità e ho i miei gusti. C’è molta offerta rispetto agli Anni 90 e 2000, anche sui social, ma rispetto ad allora si è persa un po’l’affezione. Una volta i personaggi avevano una vita propria e c’era il tempo di farli evolvere, io ultimamente in tv ho fatto solo Lol, chi ride è fuori. Diciamo che allora c’erano molto più tempo, energia e lavoro di gruppo. Ai tempi di Mai dire gol, per esempio, noi il lunedì eravamo tutti lì in riunione ed erano brain storming divertentissimi, ci facevamo i regali, condividevamo».
Il Metoo e il politically correct
Secondo Massironi «oggi con iniziative come il Metoo si cercano forse nuove alleanze, ma resta la difficoltà nella condivisione dei temi e il confronto latita. Parlo di me: io ho scelto di fare il teatro per fare un’esperienza collettiva, perché lavoro con un gruppo di persone e mi rivolgo a un altro gruppo che è il pubblico in sala. È questo che sviluppa una capacità critica su temi politici e sociali, come faceva Dario Fo. Ricordo un testo sugli espropri proletari, Sottopaga non si paga, un testo degli Anni 70. Il teatro è meglio della politica, perché è molto più libero». Sul politicamente corretto dice: «Ho le mie idee politiche e una capacità critica, e a teatro ho la possibilità di lavorare anche sul politicamente scorretto. Ma se il politically correct serve a smascherare lo scorretto ed è un punto di vista genuino, allora va benissimo». La conclusione è ancora sul lavoro e i sentimenti da mischiare: «La cosa fra noi è stata superata serenamente. E poi in ogni film che ho fatto col trio mi sono innamorata ogni volta di uno diverso».
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