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L’attrice Vittoria Belvedere e le proposte indecenti sul set: «La prima volta avevo 18 anni e lui 70»

10 Agosto 2023 - 06:48 Redazione
vittoria belvedere produttori
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Nata a Vibo Valentia, racconta il razzismo a Vimercate e il lavoro nel cinema arrivato per caso

L’attrice Vittoria Belvedere racconta la sua vita e la sua carriera oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Nata a Vibo Valentia da una famiglia di contadini, quando aveva pochi mesi i suoi si sono trasferiti a Vimercate. Dove ha conosciuto il razzismo: «Nel palazzo dove abitavamo c’erano tutte famiglie brianzole e, se in cortile giocavo con gli altri bambini, le loro mamme li portavano via dicendo: non giocate con lei, è una terrona». Belvedere dice che le è capitato più volte di sentirsi “una terrona calabrese”: «Col passare degli anni, ho vissuto, come tanti altri ragazzi, episodi di bullismo. Però crescendo, mi sono resa conto che i bambini che mi facevano i dispetti in realtà non agivano per cattiveria». Quando poi ha presentato il Festival di Sanremo «una troupe della Rai è andata nel paese originario di mio padre, San Costantino di Briatico, per intervistare i miei nonni, che ovviamente erano stupefatti e che, siccome parlavano in dialetto calabrese, venivano tradotti in italiano dalle mie cugine!».

Il lavoro per caso

L’attrice dice che la sua vita lavorativa è stata un caso: «Soprattutto i primi anni della carriera sono stati come un fiume in piena, si è aperta la diga, ed è venuto giù con una forza immensa. Mi sono sentita trasportata dal successo, i primi tempi ho scelto pochissimo le cose da fare, mi sono capitate». Ha iniziato come modella, ma per fare l’indossatrice le mancavano 3 centimetri: è alta 1,72. «Quando mi proponevo, rispondevano: ci dispiace, sei troppo bassa». Racconta di aver posato nuda per il fotografo Bruno Oliviero: «Alla presentazione del volume arrivai con dieci minuti di ritardo: sono una puntualissima, arrivo sempre in anticipo agli appuntamenti, ma quella volta avevo sbagliato strada e, quando mi presento, mi scuso, ma lui mi tratta malissimo. Comincia a ringhiare con frasi tipo: come ti permetti, chi ti credi di essere! E io sbotto a piangere: gli rispondo per le rime e me ne vado sbattendo la porta».

Le proposte indecenti sul set

Per la recitazione deve ringraziare Paola Petri, vedova di Elio: «Non si è limitata a essere la mia agente, è stata una seconda madre, mi ha dato sempre consigli preziosi per crescere nel mio lavoro e non solo: mi affiancò un attore di teatro per studiare dizione e infatti, grazie a questo, ho completamente azzerato sia l’accento calabrese, sia soprattutto quello milanese». Parla anche delle proposte indecenti ricevuto sul set: «Al di là di qualche corteggiamento, per ben due volte in maniera pesante da parte di due produttori importanti, di cui non posso rivelare i nomi. La prima volta avevo 18 anni e lui intorno ai 70… Era apparentemente un gran signore e mi fece intendere che, per fare carriera nel nostro mondo, occorreva avere qualcuno alle spalle su cui contare. Avevo già partecipato a un suo film e una sera, mentre mi accompagnava in hotel, azzardò delle avances… Io, elegantemente, lo respinsi, scesi dall’auto e non l’ho mai più chiamato».

«Mi è saltato addosso»

Il racconto prosegue: «L’altro, invece, produceva una serie importante, per la quale avrei dovuto fare, a breve, un provino. Andammo nel suo ufficio, per prendere il copione su cui dovevo prepararmi. Ci sedemmo sul divano e lui, con la scusa di porgermi il testo, mi è saltato letteralmente addosso. Era un omone, alto e pesante, non so come sono riuscita a respingerlo, a togliermelo di dosso. A un certo punto gli ho detto: perdonami, forse ti ho fatto capire cose sbagliate. Forse hai pensato che ero disponibile. Poi me ne sono andata e, nei giorni successivi, non mi sono presentata al provino». E conclude: «Non mi ero presentata in minigonna e con la camicetta sbottonata. Sono una tipa mascolina, non femminile, e anche quella sera indossavo i pantaloni, il maglione accollato. Però purtroppo noi donne ci sentiamo spesso, a torto, colpevoli di provocare il maschio arrapato. È un nostro assurdo limite».

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