Michela Murgia, lo scritto sulla paura: «Se non la collettivizziamo, non la risolveremo mai»
La paura come strumento di condivisione, come arma politica: questo è uno dei lasciti del pensiero di Michela Murgia, enunciato in una lectio per 5 scrittori e la paura, una performance teatrale trasmessa dalla Rai nel 2021, e oggi pubblicata su La Stampa. Perché la paura? Perché, ha scritto, «se metti in una stanza 20 persone a cui chiedi quale idea politica abbiano, verranno fuori 21 idee diverse. Ma se metti 21 persone in una stanza e chiedi loro di dirti le loro paure, almeno una in comune ce la abbiamo tutti. Grazie a quella paura in comune è possibile superare le differenze ideologiche». Ma il processo è tutt’altro che automatico: «Ci sono paure che sono di tutti e altre solo di alcuni e quelle che sono di alcuni, sono impenetrabili per chi non ha quella paura. L’incomprensione che si genera dall’incontro di due paure diverse è veramente incolmabile perché sulle idee tu ti puoi confrontare, ma sulle paure no».
Da Cabras a Roma, il cambiamento
La riflessione è nata nella scrittrice dopo essersi trasferita a Roma: nel suo piccolo paese d’origine, Cabras, era abituata a indossare abiti scollati senza conseguenze. Nella grande città, «degli uomini in strada potevano impunemente dire tutto quello che gli veniva in mente di fare con il mio corpo, e nel momento in cui veniva pronunciato io me lo sentivo fatto. Mi rendevo conto che in quelle parole, in quelle intenzioni, non c’era un complimento: c’era una minaccia». E poi, racconta un aneddoto: un giorno, a Trastevere, trova «un campo lesbico dove c’era tra le attività un laboratorio di drag king, cioè sedute di donne che lavorano per sembrare dei maschi».
Decide di provare quell’esperienza: «Alla fine mi dicono di andare in un posto dove normalmente non andrei o dove non mi sento mai al sicuro. Vado nel sottopassaggio della stazione di Piramide. E passare lì sotto vestita come un maschio e sembrando un maschio e nella sostanza proiettando un’identità maschile, mi fa scoprire il super potere dell’invisibilità. Cammino e gli altri maschi non mi guardano. Non mi vedono». Un’esperienza, per la scrittrice, epifanica: «Mi dico che anche i miei amici meglio intenzionati non possono capire quando racconto loro che a Roma ho paura, perché se hanno vissuto in questa invisibilità è chiaro che non potrò mai trasferirgli la mia sensazione. Come si fa a far capire che quella paura che abbiamo è vera, a persone che ci vogliono bene ma tutto questo non lo vivono?».
«Parliamo di questa paura»
«Cosa può succedere se il posto della paura si inverte?», domanda ancora, confessando di non avere risposte. «Agli uomini che vogliano capire questo meccanismo, rimane la possibilità di ascoltare esperienze che possono spostarli da quella privilegiata in cui si sono formati». «Non so come finisce questa strana lectio – conclude -, so soltanto che se di questa paura non si parla, se questa paura non viene rivelata e tematizzata, tratta come un dato collettivo e anche un bene collettivo, se continuiamo a trattare la paura che le donne hanno del maschile come un problema di ogni singola donna che non ha fatto pace con la sua femminilità e la sua radice femminile, non la risolveremo mai».
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