Michela Murgia, il ricordo del marito Lorenzo Terenzi: «La cosa che più la infastidiva era dover abbandonare battaglie importanti»
Il ricordo di Michela Murgia continua a vivere con forza, soprattutto nel cuore di chi l’ha amata: come Lorenzo Terenzi, attore, regista e musicista con cui la scrittrice si era sposata civilmente lo scorso 15 luglio. E che oggi ricorda, in un’intervista al Corriere della Sera, la prima volta che si incontrarono: «2017, Sardegna. Lei stava lavorando a Quasi Grazia, uno spettacolo teatrale tratto dal libro di Marcello Fois. Io ero stato chiamato all’ultimo come aiuto regista». Al primo incontro, non si sentì intimidito dalla scrittrice: «Era la prima volta che Michela faceva teatro professionale e io mi occupavo tanto del training, gli esercizi che si fanno prima. Per fare bene il mestiere dell’attore devi entrare in contatto con parti molto profonde di te. Questo ci ha fatto legare. È stata generosissima fin dall’inizio. Siamo diventati subito amici, poi confidenti, e negli anni “migliori amici”, come diceva».
Un’amicizia speciale
Anche Terenzi definisce la loro relazione «un’amicizia», che «ha continuato a fiorire nel tempo: siamo fioriti uno accanto all’altra. Ma non c’è mai stato niente di sessuale, era un’amicizia evoluta all’ennesima potenza. Poi lei ha avuto bisogno di me e mi ha chiesto di fare questa cosa che altrimenti non avrei mai fatto, perché non eravamo mai stati fidanzati, non c’era mai stato niente oltre all’essere fratello e sorella, due esseri umani che si erano incontrati in maniera profonda. Abbiamo riso di cose stupide e pianto di cose difficili». Terenzi racconta anche come arrivarono alla decisione di sposarsi: «Più o meno verso Pasqua. “Probabilmente ho un’aspettativa di vita di quattro anni”, mi disse. “Se tra qualche anno sei libero ti va di sposarmi? Così potrò avere vicino una persona di cui mi fido per farla decidere al posto mio”». Poi il quadro clinico cambiò, e le nozze vennero anticipate. Di quei giorni, ricorda «la follia»: «Stavamo finendo di sistemare casa, io mi svegliavo presto, montavo mobili, facevo le prove, pulivo. Quando la sera del 22 luglio ho visto in giardino le luci accese con i divanetti, le piante, ho detto agli altri: datemi un pizzicotto. Hanno tutti dato il massimo: avevamo fatto il possibile e l’impossibile».
Il ricordo degli ultimi giorni
Terenzi racconta anche della camera ardente di venerdì: era stata allestita «in camera sua, gli amici stretti erano tutti qua. Indossava un kimono fantasia e sotto aveva un vestito verde. Aveva deciso tutto: è riuscita a fare le cose che voleva, come voleva. È impressionante questo controllo lucido fino all’ultimo: il motore è l’amore. Gli ultimi giorni ha salutato tutti, ha perfino dettato un libro». Lo ha dettato a Riccardo Turrisi, uno dei suoi «figli d’anima». Negli ultimi mesi, prosegue Terenzi, nonostante le critiche nei confronti della scrittrice non si fossero placate, non la disturbavano molto: «Le dava più fastidio non poter lavorare a battaglie importanti, come la gestazione per altri, i diritti delle donne trascurate, i migranti. Ci pensava anche quando stava male». La sua combattività, la sua decisione, non sembrano aver mai rappresentato per lui motivi di timore: «Lei era dura sulle cose a cui teneva, come dovremmo essere tutti con ciò che conta. Ogni artista è scomodo. L’ho sempre trovata una donna molto centrata. E simpaticissima: io sono toscano, eravamo un mix letale di cavolate». Le litigate, quando avvenivano, avevano un tono scherzoso: «Per esempio: le avevano regalato un fischietto e pretendeva di usarlo come richiamo. Così quando fischiò le risposi con una parolaccia. Poi, scoppiammo a ridere». «Sembravamo una coppia di ottantenni felici, ai quali basta uno sguardo per capirsi – conclude -. Nel suo ultimo sguardo, mi ha detto tante cose e nessuna. Mi mancherà il bacino che le davo sulla fronte ogni volta che uscivo dalla sua stanza».
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