Roberto Vecchioni, l’amicizia con Guccini e la telefonata di Javier Zanetti: «Luci a San Siro scritta per un dolore bruciante»
Lombardo ma con la Campania nel sangue, Roberto Vecchioni, il «professore» musicista, ha da poco compiuto 80 anni e al Quotidiano Nazionale racconta la sua carriera, il rapporto con il pubblico e con i colleghi, e perché per Luci a San Siro scrisse due testi. «Ho il pubblico che volevo: quando canto, mi sento fra amici. In questi cinquant’anni e passa che faccio questo mestiere, quello che è cresciuto è il mio rapporto di emozioni con il pubblico», dice con orgoglio il cantautore. Nato a Carate Brianza nel 1943, suo padre era di San Giorgio a Cremano, lo stesso paese dove dieci anni più tardi nacque Massimo Troisi. Con il quale il cantante aveva stretto un solido legame. «Pensava che io fossi un saggio, mi diceva ‘tu che hai letto tutti quei libri’… Ma la saggezza di tutti i classici non serve a vincere certe malinconie», ricorda Vecchioni, «ci siamo divertiti a chiacchierare, a fare qualche camminata insieme, a vedere il golfo di Napoli insieme. Era un uomo indifeso, indifeso davanti alla vita. Geniale e pieno di dubbi». Per trent’anni Vecchioni ha affiancato la carriera da docente a quella da musicista, una caratteristica che gli è valsa il soprannome di «professore», e di «saggio», per l’attore napoletano.
I due testi di Luci a San Siro
Vecchioni, dopo aver studiato chitarra, ha esordito in alcuni locali milanesi nelle serate di cabaret. «Al Derby conobbi tutti. Diventai amico di Paolo Poli e di sua sorella Lucia. Intanto scrivevo canzoni, per Gigliola Cinquetti, per Ornella Vanoni», racconta, mentre Guccini lo conobbe più tardi a un Premio Tenco, «di fronte a due bottiglie di whisky, abbiamo straparlato fino a mattina. Di cosa? Ah, chi lo sa. Tutti lo conoscono come cantautore politico ma non vedono che è un romantico fino al midollo». E spiega perché scrisse due testi per Luci a San Siro: quello che ne sancì il successo fu scritto prima, ma fu l’altro a fare il suo esordio in musica. «Luci a San Siro l’avevo già scritta nel 1968, durante il servizio militare. La ragazza era bellissima: lei aveva 18 anni, io 23. La sera che parto militare, lei mi pianta. E io scrivo quella canzone, con il mio commilitone Martini sulla branda sotto la mia», ricorda il cantautore, «tre anni dopo, Rossano, un cantante calabrese, aveva bisogno di una canzone. Ma mi dissero: “Devi scrivere un altro testo”. Lo scrissi – era Ho perso il conto -, andò al Festivalbar ma non fece successo. Così mi riappropriai della mia prima canzone. E quella canzone, scritta per un dolore bruciante, è diventata il più grande dono per me». La passione per l’Inter invece nacque come reazione al padre, «che mi portava a vedere il Milan. Quando ho vinto Sanremo, il primo a farmi una telefonata è stato Javier Zanetti».
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