Pakistan, vandalizzate e incendiate 8 chiese dopo le accuse di blasfemia contro Maometto a due cristiani
In Pakistan otto chiese sono state saccheggiate e date alle fiamme in risposta a presunti atti di blasfemia commessi da due uomini cristiani nei confronti del Corano. Il rapporto della polizia parla di «profanazione del sacro Corano e abuso del profeta Maometto». Le chiese colpite si trovano nella città Jaranwala, nella provincia orientale del Punjab, dove è nota la tensione tra le comunità musulmane locali e le minoranze cristiane. Quest’ultime, infatti, sono regolarmente prese di mira dalle rigide leggi anti-blasfemia del Paese, storicamente manipolate – secondo l’accusa degli attivisti – proprio per perseguitare le minoranze e isolarle dalla vita pubblica.
La blasfemia in Pakistan
In Pakistan la blasfemia è considerata un reato gravissimo e può essere punita anche con la pena di morte. Nel 2010 una donna del Punjab – madre di 5 figli – accusata di aver profanato il nome di Maometto è stata condannata all’impiccagione. Solo tre anni dopo, oltre 100 case di persone cristiane sono state incendiate da musulmani indignati dopo che la polizia aveva arrestato un uomo di 20 anni accusato di blasfemia. Lo scorso maggio, inoltre, un 24enne è stato condannato alla pena di morte dopo che le autorità hanno rinvenuto nella chat Whatsapp con un amico dei messaggi contenenti disegni e meme ritenuti blasfemi.
La condanna delle istituzioni pakistane
Immediata la condanna a quanto accaduto da più fronti. Il primo ministro ad interim pakistano Anwaar-ul-Haq Kakar ha fatto sapere che «sarà intrapresa un’azione severa contro coloro che violano la legge e prendono di mira le minoranze». Il presidente vescovo per la Chiesa del Pakistan, Azad Marshall, ha dichiarato che «i vescovi, i sacerdoti e i laici del Paese sono profondamente addolorati» e che «le Bibbie sono state profanate e i cristiani sono stati torturati e molestati per accuse ingiuste». Allineata anche la Commissione nazionale per i diritti umani, ente governativo in Pakistan, che ha definito la violenza «triste e vergognosa».
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