Quella volta che Mazzone corse a perdifiato sotto la curva dell’Atalanta dopo la tripletta di Baggio: «Mo’ vado e li meno» – Il video
La lunghissima carriera da allenatore di Carletto Mazzone, morto oggi ad Ascoli Piceno all’età di 86 anni, è punteggiata di incitazioni caldissime e sfuriate leggendarie, ai suoi giocatori o a quelli avversari, al malcapitato arbitro di turno e perfino, perché no, anche all’indirizzo dei tifosi. Ne sanno qualcosa gli ultrà dell’Atalanta, che il 30 settembre 2001 «subirono» da Mazzone una vendetta sportiva entrata nella storia del calcio. Si giocava in quell’inizio d’autunno il derby lombardo tra Brescia – il club che allenava in quegli anni il tecnico romano – e Atalanta, partita sempre sentitissima dalle due tifoserie. Nel Brescia splendeva la stella, pur calante, del “divin codino” Roberto Baggio. L’Atalanta non era ancora quello squadrone da zona Champions che sarebbe diventato negli anni successivi, ma dava filo da torcere a tutti. E la sua tifoseria è nota per essere indomabile. Al Rigamonti di Brescia, la squadra di casa va sotto e nonostante un gol di Baggio chiude il primo tempo sull’1-3. Mazzone è preso di mira ininterrottamente dai “nordici” tifosi bergamaschi per le sue origini romane, con cori irripetibili. Mugugna e medita vendetta. Trasmette il ribollimento del sangue ai suoi in campo. Che recepiscono. Alla mezz’ora del secondo tempo Baggio raccoglie una torre dell’attaccante albanese Tare, si gira fulmineo e butta la palla in rete alle spalle di Taibi: il Brescia è ora sotto per 3-2. Mazzone esplode e inveisce contro il settore ospiti dell’Atalanta: «Se pareggiamo, vengo sotto la curva», promette alzando in cielo la sua manina minacciosa.
È solo questione di tempo. Il 90esimo è scaduto da 1 minuto e 50 secondi – secondo il recupero dato dall’arbitro Collina – quando una punizione dal lato corto di sinistra dell’area dell’Atalanta offre al Brescia l’ultima occasione di riacciuffare gli avversari. Va a battere capitan Baggio. Il suo tiro in area è un cross beffardo, su cui non arriva la testa di nessun compagno del Brescia. Ma a spizzare la palla di quel tanto che basta è il difensore dell’Atalanta Rinaldi: Taibi è beffato, la partita salvata col 3-3. Il Rigamonti esplode, e pure Mazzone. Incurante dei collaboratori che provano a trattenerlo o delle possibili sanzioni, l’allenatore parte in una corsa a perdifiato per andare a restituire di persona tutti i «complimenti» urlatigli nel corso della partita dagli ultrà dell’Atalanta. Le telecamere riprendono la sua corsa lungo tutta la fascia del campo, destinata a entrare nella leggenda. Mazzone sfoga tutta la sua ira e la sua gioia per la partita riacciuffata, lo stadio lo guarda incredulo. Collina, rientrato l’allenatore verso la sua panchina, non può far altro che espellerlo. Ma Mazzone, quel pomeriggio, entrerà definitivamente nei cuori di tutti i tifosi italiani. Tranne (forse) quelli dell’Atalanta.
Il racconto di Carletto 20 anni dopo
«E chi se lo scorda quel derby», ricorderà l’ex allenatore, a carriera ormai terminata, 20 anni dopo, parlando con Il Giorno. «È che io lo capivo ad occhi chiusi quel che che succedeva, nun c’è bisogno de respirà… quelle so partite dove la tensione in campo e fuori sale alle stelle. Ve lo giuro, non volevo andarmi a cercà rogne, ma ciò che accadde sugli spalti mi fece stare male, mai viste e sentite certe cose in quasi 40 anni di carriera. Noi andammo in vantaggio con Baggio, forse festeggiammo troppo e infatti l’Atalanta ce ribaltò e si portò sul 3-1. In campo era una battaglia, ma mi dava più fastidio sentire già a fine primo tempo dalla curva dei bergamaschi i cori beceri che mi trafissero er core: “Carletto Mazzone romano de merda, Carletto Mazzone figlio di puttana“ e altro ancora. Non lo accettai, soprattutto pensando alla mia povera mamma che mi era morta giovanissima fra le mie braccia. Me venne il sangue agli occhi perché non era solo un’offesa nei miei confronti, si volevano colpire i miei affetti. Dissi al mio vice Menichini: “Nun ce sto, nun ce vedo più, me stanno a fà impazzì de rabbia. Mo’ vado e li meno…”».
Il piano di Mazzone era chiarissimo: «Andai dal quarto uomo e gli dissi: “Stamme bene a sentì, tu devi scrivere tutto sul tuo taccuino, perché mo t’avviso che sto fuori de testa. Se pareggiamo scrivi tutto“. Proprio in quel momento Baggio segnò il 2 a 3 e già lì fu difficile stà zitto. Mi rivolsi alla curva dell’Atalanta e mi scappo una frase: “E mò se famo il 3 a 3 vengo sotto lì da voi…’”». E così avvenne, come ricostruì Mazzone al Giorno. «Me l’aspettavo, me stavo già preparando. Al gol del 3-3 in me fu una specie di blackout, cominciai a correre verso quella curva con il pugno chiuso, più correvo e più urlavo “Mo arivo, mo arivo…”. Il mio vice Menichini provò a fermarmi ma ormai nun ce stavo più con la capoccia, avevano toccano i miei sentimenti più cari. Mi trovai davanti alla rete, fu allora che capii e mi fermai. Poi andai da Collina e gli dissi: “Buttame fori, me lo merito“ (alla fine furono cinque le giornate di squalifica rimediate). Però sui giornali mi trattarono come un vecchio rimbambito, e io col sorriso dissi che era tutta colpa del mio fratello gemello. E pure de Baggio che aveva fatto tre gol…”».