Ecco perché il Napoli di De Laurentiis non contesterà Spalletti in Nazionale
La società di Aurelio De Laurentiis, con il comunicato del 14 agosto, ha dichiarato con grande fermezza che non intende tollerare passivamente la violazione degli accordi presi con il proprio ex allenatore Luciano Spalletti; c’è quindi da attendersi, nei prossimi mesi, l’avvio di un contenzioso presso il Tribunale del Lavoro. Proviamo a capire in dettaglio quali sono i termini e i passaggi rilevanti di questa possibile controversia legale.
Penale o patto di non concorrenza?
La prima questione che in questi giorni sembra essersi chiarita concerne la natura del vincolo che lega Spalletti al Napoli. All’inizio della vicenda, sulla base delle informazioni trapelate dai protagonisti della vicenda, sembrava che Spalletti avesse firmato un vero e proprio “patto di non concorrenza”, un accordo previsto dal codice civile (art. 2125) che vincola chi lo firma a non lavorare, per un certo periodo, con imprese concorrenti dell’ex datore di lavoro in cambio di un corrispettivo congruo. Accordo che aveva spazi di manovra molto stretti, visti i vincoli esistenti nel settore sportivo. Il Napoli, tramite i propri legali, ha fatto trapelare la notizia che l’intesa firmata con Spalletti non rientra in questa categoria: una notizia rilevante per due motivi.
Il primo è che il Napoli non potrà impedire a Spalletti di sedersi sulla panchina della Nazionale: se ci fosse stato un “patto di non concorrenza” valido ed efficace, infatti, la società campana avrebbe potuto chiedere a un Giudice di vietare la nuova avventura sportiva al tecnico toscano. Questo non accadrà, con la conseguenza che la posizione di Spalletti sulla nuova panchina è solida; la stessa Federazione Italiana (FIGC) non dovrebbe essere coinvolta da un’eventuale futura controversia, non potendosi parlare della violazione di un dovere di non concorrenza. Mister Spalletti non potrà, tuttavia, dormire sonni tranquilli perché, se l’accordo è costruito sotto forma di una penale di tipo economico – “sei libero di firmare per un soggetto concorrente, ma se lo fai paghi un importo a titolo di indennizzo monetario” – è probabile che il Napoli chieda a un Tribunale di ordinare il pagamento dell’importo previsto nell’intesa.
Gli argomenti a favore delle parti
Se davvero il Napoli deciderà di chiedere l’indennizzo al proprio ex allenatore, si dovranno approfondire tanti aspetti di una clausola che rischia di “fare giurisprudenza” nel calcio. La normativa di settore – tanto la vecchia legge 91 del 1981, quanto la recente riforma del lavoro sportivo (d.lgs. 31/2021) – vietano l‘inclusione nei contratti di lavoro sportivo di “patti di non concorrenza” o di accordi che limitino la facoltà dello sportivo di lavorare per società diverse da quelle di appartenenza, dopo la fine del contratto.
La prima questione da verificare sarà proprio la rispondenza della clausola firmata da Spalletti a questa fattispecie: si può assimilare a un “patto di non concorrenza” o comunque a un accordo che limita la possibilità di lavoro dello sportivo? Se la risposta fosse positiva, l’intesa avrebbe diversi problemi di compatibilità sia con i principi generali fissati dal codice civile e dalla giurisprudenza, sia con i vincoli fissati dalla normativa sportiva. Non è possibile fare una valutazione completa senza conoscere in dettaglio i testi e le modalità concrete con cui sono stati siglati, ma certamente questo è un punto critico che potrebbe indebolire molto la tenuta dell’impegno invocato dal Napoli.
La seconda questione da verificare sarà l’effettiva concretizzazione della condizione che farebbe emergere l’obbligo di pagare la penale, cioè l’avvio da parte di Luciano Spalletti di un rapporto di lavoro con un’altra società sportiva: non abbiamo accesso al testo dell’accordo, ma è chiaro che la Nazionale non è un club come tutti gli altri, e quindi potrebbe accadere che, pur considerando valido ed efficace il vincolo nel caso di lavoro per un altro club professionistico, un Giudice non lo considerasse applicabile alle rappresentative nazionali.
I tempi
Il Napoli ha a disposizione molto tempo per promuovere la causa (il termine ordinario di prescrizione è di cinque anni) e un’eventuale controversia potrebbe durare almeno 1-2 anni per ciascun grado di giudizio: è possibile, quindi, che se la squadra campana davvero decidesse di avviare la causa, la vicenda resti aperta a lungo. A meno che non prevalga, tra le parti in causa, quello “spirito conciliativo” che informa il processo del lavoro: il codice di procedura civile prevede che il Giudice del lavoro, alla prima udienza, provi a convincere le parti a desistere alla causa, spingendole a trovando un accordo economico. C’è da sperare che, se mai dovesse partire questa causa, questo impegno sia portato a termine con successo dal Giudice che sarà chiamato a occuparsi della causa. Una lite del genere, infatti, non farebbe bene al calcio italiano e a nessuna delle parti in causa: perché se è vero che Spalletti rischia, in caso di sconfitta, di pagare una sanzione salata, lo stesso Napoli potrebbe andare incontro a brutte sorprese qualora il Giudice decidesse di annullare le proprio sofisticate costruzioni contrattuali.
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