Ecco cosa può rischiare il killer che ha ucciso a fucilate l’orsa Amarena in Abruzzo
L’uomo che ha ucciso a fucilate l’orsa Amarena è stato denunciato a piede libero per la morte dell’animale a San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco Nazionale d’Abruzzo. «Ho sparato per paura ma non volevo uccidere, l’ho trovata dentro la mia proprietà è stato un atto impulsivo, istintivo», ha dichiarato ieri agli inquirenti. Cosa rischia adesso è ancora in via di definizione. Ma gli esperti iniziano a mettere sul tavolo quali strade prevede la legge. «Se si applica la legge 157 di tutela della fauna, che regolamenta la caccia, l’articolo 30 per l’uccisione di specie particolarmente protette prevede la reclusione da 2 a 8 mesi e una ammenda da 774 euro a poco più di duemila euro. Trattandosi per altro di un reato contravvenzionale, ciò vuol dire che sostanzialmente il soggetto condannato può applicare l’oblazione, che consiste nel pagare la metà del massimo della pena per estinguere il reato», inizia a spiegare Dante Caserta, responsabile legale e vice presidente del WWF Italia, in un’intervista a Fanpage.
L’alternativa del reato 544bis codice penale
«Se invece si dovesse applicare il reato 544bis del codice penale avremo una pena che vai da 4 mesi ai 2 anni di reclusione, ma teniamo conto che questi sarebbero il massimo della pena che normalmente non viene mai applicata», conclude a colloquio con Ida Artiaco. Si tratta quindi, nonostante il grande eco e la forte rabbia dei cittadini, di pene non particolarmente eccessive. Una normativa contro cui gli animalisti si battono da sempre. «Le pene – denuncia WWF – che sono previste non hanno alcun effetto deterrente rispetto ad una attività così grave come l’uccisione di una specie rara, come quella dell’orso marsicano, di cui restano solo 60 esemplari al mondo. Sono la specie più a rischio di tutto il continente europeo».
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