L’Unione Europea contro Musk: «Così le nuove politiche di Twitter hanno contribuito a diffondere la propaganda russa»
X di Elon Musk (ex Twitter) ha giocato un ruolo centrale nel permettere alla propaganda russa sull’Ucraina di avere spazio e raggiungere più persone possibili. A rivelarlo è un recente studio realizzato dal gruppo no-profit Reset, pubblicato dalla Commissione Europa questa settimana e ripreso dal Washington Post. Secondo quanto emerge dalla ricerca, nonostante i principali colossi del web abbiano tentato di frelnare a disinformazione russa contro Kiev, il tentativo si è rivelato vano. Se fosse stata già in vigore lo scorso anno, evidenzia lo studio, i principali social avrebbero violato al legge dell’Ue sui social media, il Digital Services Act che impone maggior vigore nella valutazione di false informazioni.
Il ruolo di Twitter
Lo studio ha rivelato che «la portata degli account pro-Cremlino è aumentata tra gennaio e maggio 2023, con un coinvolgimento medio in aumento del 22% su tutte le piattaforme online. Tuttavia, questa maggiore portata è stata in gran parte determinata da Twitter, dove il coinvolgimento è cresciuto del 36% dopo che il CEO Elon Musk ha deciso di revocare le misure di mitigazione sugli account sostenuti dal Cremlino, sostenendo che “tutte le notizie sono in una certa misura propaganda”». Pertanto, la nuova direzione del patron di Tesla, già ampiamente inondata di critiche nei mesi passati, avrebbe le sue responsabilità nella diffusione della disinformazione russa di guerra. Così come anche Instagram, Telegram e Facebook, di proprietà di Meta.
«Nessuno era attrezzato»
«In numeri assoluti, gli account pro-Cremlino continuano a raggiungere il pubblico più vasto sulle piattaforme di Meta. Nel frattempo, l’audience degli account sostenuti dal Cremlino è più che triplicata su Telegram. Abbiamo scoperto che nessuna piattaforma applicava in modo coerente i propri termini di servizio in ripetuti test dei sistemi di notifica degli utenti in diverse lingue dell’Europa centrale e orientale», dichiarano i ricercatori. Che sottolineano come la legge e le società dei principali social media non erano attrezzate per una guerra dell’informazione come quella condotta dalla Russia. «Nessuna piattaforma – concludono – ha introdotto politiche rivolte a tutti o anche alla maggior parte degli account gestiti dal Cremlino. Inoltre, hanno ignorato le campagne coordinate multipiattaforma».
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