Abruzzo, i tormenti dell’uomo che ha ucciso l’orsa Amarena: «Da tre giorni non dormo e non mangio, anche la mia famiglia alla gogna»
È a pezzi Andrea Leombruni, l’uomo indagato per aver sparato il colpo di fucile che ha ucciso l’orsa Amarena, la sera del 31 agosto alla periferia di San Benedetto dei Marsi, in Abruzzo. «Sono tre giorni che non dormo e non mangio, non vivo più, ricevo in continuazione telefonate di morte, messaggi; hanno perfino chiamato mia madre 85 enne, tutta la mia famiglia è sotto una gogna», dice oggi all’Ansa l’uomo, gli occhi lucidi dal dolore e dalla perdita del sonno. A fare da sentinella sul balcone della sua casa, lì dove è partito il colpo mortale, c’è un parente: da giorni nella zona c’è un gran traffico di curiosi, e Leombruni e la sua famiglia hanno paura di ritorsioni. Da due giorni ormai l’allevatore abruzzese è costretto a vivere sotto scorta, dopo le minacce di morte ricevute di cui aveva già dato conto nelle scorse ore il suo avvocato, Berardino Terra, che si è detto seriamente preoccupato per la stabilità dell’uomo: «È distrutto per quello che è successo. Ora teme per la sua vita e per la sua famiglia». Parole e sentimenti confermati oggi da Leombruni stesso: «Ci devi passare per capire quello che sto provando ora. Ho sbagliato, l’ho capito subito dopo aver esploso il colpo: i carabinieri li ho chiamati io». Ha avuto paura quella sera, l’allevatore, come ha da subito spiegato. «È successo qui, in uno spazio piccolissimo – racconta al cronista dell’Ansa nel pollaio dove è avvenuto l’imprevisto incontro -. Io mi ero appostato per vedere chi fosse, mi sono trovato all’improvviso quest’orso e ho fatto fuoco per terra, non ho mirato, il fucile aveva un solo colpo». Ad essere travolta dall’evento e dalle sue conseguenze nelle ultime 72 ore anche la moglie dell’allevatore, che non si dà pace per le minacce ricevute: «Non è giusta questa violenza e questo martirio che ci stanno facendo. C’è la Procura che indaga, sono loro i titolati a farlo, a giudicare, noi sicuramente saremo puniti e ripeto giustamente, ma perché dobbiamo vivere sotto scorta? Perché dobbiamo aver paura di vivere?».
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