Il nuovo «whatever it takes» di Draghi: «L’Ue cambi regole: più risorse e poteri a Bruxelles o ci ritroveremo senza industria»
Da quando ha lasciato Palazzo Chigi, passando campanella e dossier di Stato a Giorgia Meloni, Mario Draghi parla poco, e appare ancor meno. Come sempre stato nel suo stile di rigoroso banchiere centrale: si mostra in pubblico solo ove strettamente necessario, interviene nel dibattito pubblico soltanto se ha qualcosa di davvero «pesante» da dire. I venti mesi passati a Palazzo Chigi, dove si è trovato «costretto» a parlare ben di più in qualità di responsabile ultimo di tutte le politiche nazionali, non hanno cambiato di una virgola il suo approccio: anzi. E nell’era dell’iper-comunicazione i suoi rari, calibrati interventi pesano come un macigno. Oggi l’ex premier e governatore della Bce torna a dire la sua, con un articolato intervento pubblicato sul magazine di riferimento per le élites di governo occidentali: l’Economist. Tema: l’evoluzione della politica e dell’economia globale e la possibile risposta dell’Ue in termini di riforma delle sue regole di funzionamento. Non un esercizio di stile su materia per accademici, nell’evidente intento di Draghi, ma un richiamo agli europei a svegliarsi prima che sia troppo tardi e si ritrovino definitivamente perdenti nel riordino degli equilibri mondiali: politici, economici e perfino climatici.
Se l’America prende il largo rispetto a un’Europa senza strategia
La prende larga, Draghi, ma nelle sue parole riecheggia evidente la consapevolezza di chi sino all’altro ieri rappresentava uno dei Paesi a lungo (e spesso tuttora) considerati un «peso» da sopportare per l’Ue. «Oggi l’Europa non affronta più principalmente crisi causate da politiche malsane in questo o quel Paese. Piuttosto, deve far fronte a shock comuni e importati, come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina», scrive l’ex premier: «shock troppo grandi perché i Paesi possano gestirli da soli». Per rispondere alla sfide sopranazionali di questo decennio, a cominciare dai necessari cambi di passo su difesa, transizione verde e digitalizzazione, è il ragionamento di Draghi, servono «ingenti investimenti in un breve periodo di tempo». Peccato che per come stanno le cose ora, rimarca l’ex premier, «né l’Europa ha una strategia federale per finanziarli, né le politiche nazionali possono supplire a tale mancanza, stanti i vincoli fiscali e sugli aiuti di Stato». E così l’Atlantico rischia di diventare un oceano di lacrime, considerato che invece «l’America di Joe Biden sta mettendo insieme risorse federali, modifiche normative e incentivi fiscali» all’altezza di quelle stesse sfide, ponendo le basi per surclassare nel medio-lungo periodo l’Europa. «Se non si agisce, c’è il serio rischio che l’Europa non riesca a raggiungere gli obiettivi climatici prefissati, fallisca nel garantire la sicurezza che i cittadini le chiedono e persa la sua base industriale, a beneficio di regioni del mondo che impongono meno vincoli. Ecco perché – affonda il colpo Draghi – scivolare indietro passivamente verso le vecchie regole fiscali sarebbe il peggior esito possibile».
A patto che non torni il Patto
Il riferimento dell’ex n° 1 di Francoforte è all’estenuante match di ping-pong in corso tra i governi Ue per trovare la quadra sulle nuove regole di governance economica che dovrebbero rimpiazzare il vecchio Patto di Stabilità: un dibattito sin qui infruttuoso tra «rigoristi» e fautori di maggior flessibilità che sta rischiando di fatto di mettere in naftalina il pacchetto di regole proposte dalla Commissione, con Paolo Gentiloni in prima linea, col rischio che da gennaio 2024 rientrino in vigore le vecchie regole del Patto, sospeso all’esplosione della pandemia, con i noti vincoli di deficit e debito pubblico considerati ormai quasi unanimemente fuori dalla realtà. Uno spettro da evitare come la peste, richiama dall’alto della sua esperienza Draghi, che sprona così l’Ue a puntare con coraggio su una doppia strada: disegnare nuove regole fiscali adatte alle sfide del presente, ma anche ridefinire le stesse regole di funzionamento dell’Ue, considerato che l’altra novità dietro l’angolo per il blocco dovrebbe essere stando agli impegni presi quello dell’allargamento a un certo numero di nuovi Paesi (dai Paesi balcanici all’Ucraina sino alla Moldavia). Il modello cui fare riferimento, in sostanza, è quello sperimentato nell’ultimo biennio col programma Next Generation EU, con cui l’Ue ha trovato nel 2020 il coraggio di affrontare insieme il deserto economico che la pandemia rischiava di lasciarsi alle spalle. L’equilibrio giusto tra i due princìpi entrambi sacrosanti della rigidità delle regole di bilancio e della flessibilità di spesa può essere trovato, indica la via Draghi, «soltanto trasferendo più poteri al centro, il che rende a sua volta possibili regole automatiche per gli Stati membri». Proprio come accade in America, sottolinea l’ex premier, tornato negli scorsi mesi a visitare e studiare il Paese, dove i bilanci dei singoli Stati sono credibili proprio perché è il livello federale a prendersi carico della spesa discrezionale.
Il tabù da sfatare dei Trattati
Ma che significa tutto ciò per l’Ue, in concreto? «Mettere in comune più competenze, e di conseguenza definire nuove forme di rappresentanza e di decision-making centralizzato», mette in chiaro Draghi, spronando l’Ue a «evitare gli errori del passato nell’espandere la periferia (tramite l’allargamento a nuovi membri, ndr) senza rafforzare il centro». Non c’è scappatoia possibile, chiarisce dunque l’ex premier: per l’Ue sarà necessario rimettere mano ai Trattati che ne regolano il funzionamento, mettendo da parte le paure di affrontare tale processo – che richiede il consenso dei cittadini europei – dopo la doppia bocciatura del progetto di Costituzione europea del 2005 in Francia e Paesi Bassi. Irrealistico con le elezioni europee alle porte, previene l’obiezione Draghi? «Le alternative sono altrettanto irrealistiche: quelle strategie che hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa nel passato – l’affidarsi all’America per la sicurezza, alla Cina per le esportazioni e alla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente insostenibile per i cittadini, e l’opzione radicale dell’Ue ha dato risultati decisamente incerti. Dar forma a un’Unione più stretta – richiama in conclusione Draghi – si dimostrerà alla fine l’unica via per assicurare ai cittadini europei la sicurezza e la prosperità che desiderano». Pacchetto di raccomandazioni disinteressate o «ridiscesa» in campo in vista del rinnovo delle più alte cariche dell’Ue tra un anno, SuperMario is back.