Scuola, il report di Save the children: investimenti in calo e svantaggi per gli studenti stranieri
L’emergenza sanitaria da Coronavirus è ufficialmente finita, ma i suoi effetti rimangono, silenziosi e dolorosi. A pagare le conseguenze della pandemia e dei conseguenti lockdown è stato il benessere psicologico degli studenti, soprattutto tra i minori in svantaggio socioeconomico. Non è possibile nemmeno cancellare l’impoverimento educativo generato sull’apprendimento, come attesta un report di Save the Children dal titolo Il Mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane. Che sottolinea come gli investimenti sull’istruzione, che sembravano tornati al centro nel pieno dell’emergenza, sono tornati a scendere: la percentuale di Pil devoluta al settore nel nostro Paese è attualmente al 4,1%, contro una media europea del 4,8%, a cui si aggiunge la carenza di servizi come asili nido, mense e tempo pieno.
I numeri
L’Italia supera invece la media europea se guardiamo alla dispersione scolastica: rispettivamente 11,5% e 9,6% nel 2022. L’8,7% di studenti, inoltre, si trova in condizione di dispersione implicita (secondo i dati Invalsi del 2023): vale a dire che pur ottenendo il diploma di scuola superiore, non raggiungono i livelli di competenze richieste nelle prove di italiano, matematica e inglese, bensì mostrano livelli corrispondenti agli obiettivi formativi previsti per gli studenti di terza media. Il dato era del 7,5% nel 2019, prima della pandemia. Situazione che secondo l’organizzazione non deve sorprendere. Questo perché, per esempio, la copertura nelle strutture educative 0-2 anni pubbliche e private nell’anno educativo 2021/2022 non ha nemmeno raggiunto l’obiettivo europeo del 33% entro il 2010: è pari a 28 posti disponibili per 100 bambini residenti. La mancanza è ancora più evidente guardando al nuovo obiettivo stabilito a livello europeo del 45% entro il 2030. Secondo gli ultimi dati disponibili (anno scolastico 2021/2022) ancora solo il 38,06% delle classi della scuola primaria è a tempo pieno (sebbene in crescita rispetto a 5 anni prima, 32,4% nell’anno scolastico 2017/2018) e poco più della metà degli alunni della primaria frequenta la mensa scolastica (54,9%, contro 51% dell’anno scolastico 2017/2018).
Calo demografico e immigrazione
Gli studenti delle scuole italiani calano, perché calano le nascite: rispetto a 7 anni fa, quasi 71.000 bambini in meno hanno varcato la soglia della scuola elementare. La composizione delle classi cambia, non solo numericamente: sono più di 800 mila i minori stranieri, pari ad oltre 1 su 108 (10,6%) tra gli iscritti nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie. Per loro, veder riconosciuta la cittadinanza italiana è importante, dal momento che ha effetti sul loro rendimento scolastico e più in generale sul loro percorso di crescita. Basti pensare che in Italia solo il 77,9% dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1% per i nati in Italia) contro il 95,1% degli italiani. Considerando che i minori con background migratorio partono già svantaggiati rispetto ai compagni di scuola: a partire dall’inserimento alla scuola dell’infanzia, passando per il ritardo scolastico dovuto alla collocazione in classi inferiori a quelle corrispondenti all’età anagrafica o alla mancata ammissione all’anno successivo, fino all’abbandono precoce. Alcuni dati aiutano a capire il contesto: gli studenti di origine italiana in ritardo nell’anno scolastico 2021/22, ad esempio, rappresentavano l’8,1%. Quelli con cittadinanza non italiana erano il 25,4%. E il divario cresceva ulteriormente con riferimento alla scuola secondaria di II grado (16,3% contro il 48,4%).
Le cause
Le disparità si insidiano gradualmente, nel momento in cui gli studenti incontrano difficoltà maggiori, ad esempio, a partecipare a gite scolastiche e scambi culturali all’estero e, successivamente, anche ad accedere all’Università o ai concorsi pubblici. A gravare sul percorso educativo dei minori con background migratorio, anche le condizioni di povertà economica e l’impatto della pandemia. La percentuale degli studenti con background migratorio che ha dichiarato di aver avuto periodi di interruzione della scuola di sei mesi o più è quasi il doppio di quella degli studenti con genitori italiani: 11% contro 5,9%. Le cause sono molteplici: dalla conoscenza limitata della lingua italiana alla necessità di aiutare i genitori a casa. Ma il 2,5% di coloro che hanno interrotto gli studi per periodi prolungati ritengono che la scuola non sia utile.
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