Nuovi Cpr per i migranti, tra le Regioni è già fuggi fuggi. Zaia: «In Veneto? Non ne so nulla». Giani: «Qui in Toscana mai»
Si annunciano tempi stretti per la messa a regime dei nuovi Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) che il governo Meloni intende aprire per dar seguito alle nuove norme sulla gestione dei migranti, che prevedono tra l’altro l’aumento da 6 a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento nelle strutture. Entro due mesi, fanno trapelare fonti di governo alle agenzie di stampa, la lista delle aree identificate per ospitare i nuovi Cpr sarà pronta. «Almeno uno per regione», ha anticipato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, privilegiando località scarsamente popolate, facilmente recintabili e sorvegliabili. Terminata la fase di identificazione dei luoghi – si pensa in primis a caserme dismesse – si passerà all’allestimento, di cui secondo il piano dovrà essere il Genio militare. Con tempi altrettanto rapidi. Questo, per lo meno, nelle intenzioni del governo. Già, perché i primi segnali che arrivano dai territori che dovranno ospitare i nuovi Centri (quelli operativi ad oggi sono 9) sembrano tutt’altro che incoraggianti. Not in my backyard, recita il famoso detto anglosassone: progetto lodevole, necessario, ma non nel mio cortile di casa. Linea su cui sembrano attestarsi sin da oggi diversi governatori di Regioni, di ogni provenienza politica.
L’altolà dei governatori
«Non darò l’ok a nessun Cpr in Toscana», ha messo le mani avanti il presidente della Regione Eugenio Giani (Pd). Il motivo? «Si stanno prendendo in giro gli italiani perché il problema dell’immigrazione è come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori. Cosa c’entra il Cpr come risposta ai flussi emergenziali?», chiede e si chiede polemico il governatore toscano. Ma a fare orecchie da mercante è, almeno per ora, anche il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia: «Su un Cpr in Veneto io non ho mai parlato con nessuno. Noi non siamo stati contattati», ha detto stamattina in un punto stampa a Venezia, per poi ricordare che i numeri di questi giorni «confermano la preoccupazione che avevo posto a inizio estate, che saremmo andati incontro al doppio di arrivi di migranti rispetto all’anno scorso, con tutti gli annessi e connessi». Quanto al Veneto, ha proseguito Zaia, «abbiamo superato le 9.000 persone ospitate e la misura è colma». Ancora dal fronte della destra arriva l’altolà anche della Regione Marche: «In questo momento non abbiamo quell’afflusso di migranti delle altre regioni, e i Cpr sono degli strumenti per consentire l’identificazione di persone che accedono nel territorio nazionale senza permesso di soggiorno o visto d’ingresso, quindi per le Marche non c’è l’esigenza di avere questo centro», ha liquidato la questione il vice presidente della Regione Filippo Saltamartini (Lega pure lui). A piantare qualche paletto è sin d’ora anche il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher. «Il ministro Piantedosi mi ha ribadito ieri durante il nostro incontro che il Cpr in Alto Adige servirà solo per le esigenze locali e non ci saranno trasferimenti da altre regioni», ha detto il governatore della Südtiroler Volkspartei (SVP), precisando inoltre che il futuro Centro avrà una capienza di circa 50 posti e sarà «individuato, finanziato e gestito direttamente da Roma».
Piantedosi devia le polemiche: «Dobbiamo farlo, ce lo chiede l’Europa»
A difendere il senso del piano dell’esecutivo sui nuovi Centri è stato questa mattina lo stesso ministro Piantedosi, provando ad allontanare le polemiche sui diritti fondamentali di chi sbarca in Italia in cerca di fortuna: «La norma sui Cpr è contenuta all’interno di una cornice europea che prevede la possibilità del trattenimento fino a 18 mesi. Nulla di complicato riguardo al rispetto dei diritti delle persone», ha detto il titolare degli Interni al programma Ping Pong su Radio 1, spiegando che «la rapida realizzazione delle strutture sul territorio in modo da rafforzare la capacità dello Stato di espulsione è una cosa che ci chiede l’Europa. È fortemente previsto dalle normative ed è stata sempre una delle raccomandazioni che l’Europa ha fatto all’Italia».
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