L’infermiere “fuggito” in Svizzera dalla Lombardia: «Qui guadagno fino a 5 mila euro al mese»
Si chiama Lorenzo Iannotta e ha 36 anni. Di mestiere fa l’infermiere ed è appena “fuggito” in Svizzera. Lui è uno dei 4 mila operatori sanitari che ha deciso di lasciare la Lombardia e l’Italia. Perché nel suo mestiere da noi si guadagna troppo poco, come spiega nell’intervista che rilascia oggi al Corriere della Sera: ««Era da poco nata la mia terza figlia. Ho notato un bando per un posto in Svizzera e ne ho parlato con mia moglie, anche lei infermiera in Italia. Ho deciso di partecipare. Hanno valutato i miei titoli, poi ho affrontato un colloquio. E sono stato preso». In Italia guadagnava 1.700 euro. Lavorava al pronto soccorso degli ospedali pubblici del Varesotto. Ora porta a casa tra i 4 e i 5 mila franchi al mese.
La storia
«Tra i vantaggi c’è soprattutto lo stipendio. Da frontaliere, pago le tasse in Svizzera e il sistema tiene conto del mio nucleo familiare. Sono migliorate la qualità del lavoro e il tenore di vita». Ma ci sono anche svantaggi: «Per otto ore di lavoro, ne trascorro 11 o 12 fuori casa. Colpa del traffico e delle strade verso il confine, tutte provinciali. E poi il viaggio è costoso, il prezzo della benzina è aumentato». Dice che quando se n’è andato si è sentito un traditore: «Nei confronti del del sistema che mi ha formato e del mio Paese, dove sto cercando di dare un futuro alla mia famiglia. Credo che anche altri lo abbiano pensato, ma nessuno me lo ha rivelato. Qualcuno, invece, mi ha detto che ho fatto bene, perché in Italia non si può più lavorare nel sistema sanitario».
Le differenze tra Italia e Svizzera
Anche in Svizzera ci sono problemi: «L’organizzazione è totalmente diversa. I cittadini devono pagare un’assicurazione sanitaria (che sta diventando via via più cara, ndr) e anche lo Stato si fa carico di una parte dei costi». Ma c’è anche qualcosa di più: «Le malattie croniche vengono gestite perlopiù a domicilio o sul territorio, senza far ricadere tutto sugli ospedali. È la strada che si vorrebbe imboccare in Italia con le case di comunità. È un buon modello, va sviluppato». Per questo non sa se tornerà in Italia: «Servirebbero incentivi per frenare i trasferimenti oltreconfine. E non solo per i frontalieri: ci sono colleghi che arrivano anche da Milano. L’ordine degli infermieri sta ponendo all’attenzione pubblica il problema. Va preso di petto».
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